Note d’organo

C’è bisogno d’aria.

Esco a fare una passeggiata, porto a spasso i pensieri. Passo dopo passo lungo le strade della città… la mia, la tua, chissà quale, che importanza ha? Basta camminare, respirare, vedere i colori, sentire i profumi, incontrare gente.

Ho deciso, esco!

Trovo qualcuno ad accompagnarmi… chissà dove mi porta… lo seguo… mi pare di conoscerlo…

15cdbe3de11c607de36c45cd8783bb77.jpgSento una musica bellissima… inizia con una batteria e… e lui si mette a cantare… e intanto cammina… ma dove va? Che importa… cammino con lui, mi scarico, mi ossigeno… e lui intanto canta e… quanta gente… quanti bambini… e c’è anche il sole… camminiamo ancora e… ehi, ma quello là io lo conosco!… e… e sento improvvisamente un organo! Meravigliose note d’organo si uniscono a noi! Fanno venire i brividi… viene quasi da chiudere gli occhi mentre quell’organo suona… questa musica è stupenda, mi rilassa, mi rigenera… ma riapro gli occhi e proseguo il cammino verso sera… e arriviamo lungo un fiume…

Nel blu della notte che cala si accendono le lucine della città e quella di un piccolo falò. È stato gentile ad accompagnarmi fin qui facendomi ascoltare la sua straordinaria canzone.

7bd6e3003ed7c5ff1ded53b6114681c7.jpgA notte fonda chiudo gli occhi e sogno di nuovo quella musica, ma le immagini sono diverse.

Ruotano, si capovolgono, paiono visioni d’aria, di fuoco, di terra, d’acqua, di spirito e di luce.

La musica pare ancora più intensa mentre quelle note d’organo mi fanno respirare, volare… regalandomi un senso di pace.

Anima stanca

d85256318224d01194ba6732fc1646a9.jpgAnima distante

lontana

stanca di amarezze

cancellata da errori

che vorrebbe cancellare

spenta da una tristezza

che vorrebbe spegnere

anima nel caos

e nell’angoscia

di una stupida sconfitta

anima privata dello spazio

e del tempo del pensiero

anima che sogna ricordi

che non torneranno più

anima che vorrebbe tornare indietro

nel tempo

o scappare in avanti

per sempre

in un momento

riaccendere il sorriso

riavere i propri abbracci

riposare la fatica

e gioire calma nella pace

la pace dell’anima

che ritorna a casa.

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BazarCollection! Bazar Cult!

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Appena uscita la rivista BazarCollection che raccoglie le migliori rubriche del web magazine Bazar dalle origini ad oggi. Più di 250 pagine di cultura, intrattenimento, informazione e formazione tratte dai 30 numeri pubblicati e selezionate dai direttori Eugenia Romanelli e Vera Risi.

La rivista cartacea è Edita da Rai Eri, patrocinata dalle Università italiane, firmata da artisti, giornalisti e intellettuali tra cui Claudio Amendola, Luca Beatrice, Alessandro Benvenuti, Emma Bonino, Nancy Brilli, Fabio Canino, Luca Carboni, Jury Chechi, Claudio Coccoluto, Klaus Davi, Enrico lo Verso, Vladimir Luxuria, Simona Marchini, Mario Martone, Carolina Morace, Mario Morcellini, Marco Pesatori, Piotta, Johnson Righeira, Eva Robin’s, Paola Turci.

Per saperne di più clicca QUI

E ancora è uscito sul web Bazar Cult  con le 10 rubriche più belle del mese in diversa veste grafica a cura di Cristina Manfucci.  La Redazione questo mese ha incluso anche la mia rubrica Architetture&Design di settembre e ne sono davvero molto contenta!

Vi accompagno a sfogliarlo insieme cliccando QUI:

pagina 1 la copertina con il titolo Bazar è uno starter e con il codice a barre che identifica il brand della cultura e dell’intrattenimento intelligente.

A pagina 2 lEditoriale della direttrice Eugenia Romanelli.

Da pagina 3 a pagina 6 il “Laboratorio degli studenti sotto inkiesta” a cura di Paolo De Cinti, dedicato alle nuove agorà virtuali e intitolato MMORPG: il nuovo Far West.

La pagina 7 ospita la rubrica “Leggere – cultura su carta” che Salvatore Satta dedica ai fumetti intitolandola Le nuove frontiere del balloon.

A pagina 8 Desirèe Nardone ci parla della Democrazia dello champagne nella rubrica “Notte – percorsi al buio”.

A pagina 9 la rubrica “Arti – nuovi modi di creare nuovi modi di cercare” che Luca Beatrice ha intitolato Russian ketchup in british stile.

La pagina 10 ospita la rubrica “Life & Cash – economie virtuali” con www.comerisparmio.it di Francesco D’Alessandro.

pagina 11 il Crazy World di Riccarda Patelli Linari, la mia rubrica “Architetture&Design – forme che si esprimono” dove parlo di Elicotteropoli, favelas brasiliane a Venezia, fiori irreali, design americano, tavoli extraterrestri, muri parlanti, gioielli di cioccolato e design alimentare, cucine dado-sferiche, case che si nutrono di spinaci e poltrone col DNA.

A pagina 12 infine Emma Bonino cura la sua rubrica “Tacchi alti – espressione donna” con un articolo intitolato Imprenditrici ke fanno network dedicato all’imprenditoria femminile.

L’edizione di Bazar Cult è stampabile e l’invito è di leggerla, stamparla per collezionarla e per lasciarla in giro in bar, piazze, panchine, metropolitane, autobus, club ecc. per diffondere, sostenere e fertilizzare la cultura libera.

 

L’attimo fuggente

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Questo film datato 1989 non lo vidi subito quando uscì nelle sale. Qualche anno dopo avevo i miei tre figli piccoli, in un’età abbastanza impegnativa e faticosa per stargli dietro, ed ero da sola con loro in vacanza in montagna, in una piccola casa. Dopo una giornata molto intensa, in serata si addormentarono tutti e nel silenzio il palinsesto televisivo serale stava passando dalla prima alla seconda serata. Ero stanchissima e stavo per spegnere la tv quando l’annunciatrice disse che sarebbe andato in onda un film con Robin Williams e la regia di Peter Weir intitolato L’attimo fuggente. Quel titolo mi interessò immediatamente e decisi di mettermi un po’ sul divano e di vederne qualche scena.

La stanchezza e il sonno svanirono, ne fui rapita dall’inizio alla fine e in questa mia classifica cinematografica ho deciso di metterlo al 3° posto.

Non riuscii a dormire quella notte. C’era un gran silenzio in quel bosco fra i monti e nel buio della mia stanza mi misi a pensare pensare pensare… e forse devo anche a quel film il fatto che cambiai pian piano il mio modo di scrivere lasciandomi più andare, facendomi trasportare dai miei istinti liberi e felici, da ciò che mi andava di improvvisare, dalla libertà di espressione.

La storia è ambientata nel 1959 nella rigida e conformista accademia maschile di Welton, negli USA. Un nuovo insegnante di materie umanistiche, il professor John Keating interpretato da Robin Williams, il primo giorno di scuola porta i ragazzi fuori dall’aula e in un salone della scuola tiene la sua prima originale lezione facendo leggere loro dei versi: Cogli la rosa quando è il momento, che il tempo, lo sai, vola e lo stesso fiore che sboccia oggi, domani appassirà. Davanti a dei quadri con le vecchie foto degli studenti del passato, ragazzi esattamente come loro che però ormai non esistono più, li guarda tutti negli occhi e li esorta a non aspettare a realizzare i propri sogni e le proprie aspirazioni… carpe diem, cogliete l’attimo ragazzi, rendete la vostra vita straordinaria perché siamo tutti cibo per i vermi o concime per i fiori.

cbcd7eec7b930ae4657fca1fe2476667.jpgGli studenti restano molto colpiti da quella prima lezione e da quelle seguenti durante le quali il professore li invita ad essere anticonformisti e a ragionare con la propria testa. Usa metodi decisamente insoliti fuori e sopra le righe che affascinano i ragazzi con intelligenza e simpatia, insegnando loro che l’amore per la poesia è fondamentale per far nascere la scintilla creativa e sviluppare le capacità di scelta di vita seguendo i propri sogni e senza farsi influenzare dal pensiero altrui. Li esorta a lottare contro chi vuole misurare la poesia e li invita a leggere gli autori soffermandosi ad assaporare cosa provano nella lettura, cosa sentono nascere dentro di loro e non solo cosa dicono gli autori o i teorici della letteratura. Devono imparare ad osare, ad andare contro corrente, a guardare le cose da diversi punti di vista, da altre prospettive e durante una lezione in aula li fa salire in piedi sui banchi per dimostrare come le cose si possono vedere diversamente da altre angolazioni.

ffc7c61d4ec07ca8f72c26bd1840c097.jpgIn quest’altro video gli svela una cosa straordinaria: Non leggiamo e scriviamo poesie perché è carino: noi leggiamo e scriviamo poesie perché siamo membri della razza umana; e la razza umana è piena di passione. Medicina, legge, economia, ingegneria sono nobili professioni, necessarie al nostro sostentamento; ma la poesia, la bellezza, il romanticismo, l’amore, sono queste le cose che ci tengono in vita. E poi conclude splendidamente dicendo che ognuno può contribuire con un verso e chiedendo quale sarà il loro: Quale sarà il tuo verso?. Un giorno farà scrivere a ciascuno una poesia da recitare di fronte agli altri. Il più timido non ce la fa e il professore riesce a sbloccarlo facendogli improvvisare una poesia e raccomandandosi di non dimenticare mai quel momento in cui ha scoperto di esserne capace.

Ispirandosi ai versi di una poesia offre ai ragazzi l’alternativa di chiamarlo semplicemente professor Keating oppure più audacemente “O Capitano, mio Capitano!”.

Sette studenti lo seguono con particolare interesse e un giorno scoprono in un vecchio annuario della scuola che il professore ha studiato lì e che faceva parte di un gruppo, una setta, la Setta dei Poeti Estinti. Molto incuriositi gli chiedono di raccontare la storia della Dead Poets Society. Erano un gruppo di ragazzi della scuola che si ritrovavano in un luogo nascosto a leggere, recitare… assaporare poesia. I versi che leggevano all’inizio dei loro incontri erano: Andai nei boschi perché volevo vivere con saggezza e in profondità, succhiando tutto il midollo della vita. Per sbaragliare tutto ciò che non era vita e per non scoprire in punto di morte che non ero vissuto.

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I sette ragazzi rifondano la Setta dei Poeti Estinti e si ritrovano spesso in una grotta nel bosco a recitare versi propri o altrui e a comunicare fra loro con la poesia, vivendo un periodo particolarmente emozionante e ricco di scoperte. Chi scopre l’amore, chi di poter vincere la timidezza come Todd, chi la propria vocazione di attore come Neil.

Ma Neil si scontra con un padre troppo severo che non tiene in considerazione i desideri del ragazzo ed ha già pianificato tutta la sua vita pretendendo per lui un futuro da medico. Non approva la sua passione per il teatro e, nonostante l’entusiasmante successo del ragazzo durante una recita scolastica dove interpreta la parte di Puck in Sogno di una notte di mezza estate di William Shakespeare, non avendolo autorizzato a partecipare lo punirà togliendolo da quella scuola e dall’influenza del professor Keating per spedirlo in un’accademia militare durissima. Il sensibile e debole ragazzo nella notte si suicida sparandosi con la pistola del padre e questa tragedia sconvolgerà gli altri ragazzi, il professore e tutta la scuola.

Da tempo i metodi del professore non erano visti di buon occhio da gran parte del corpo docente e dal preside, e così la colpa dell’accaduto viene addossata a Keating. L’ottuso preside, sotto minaccia di espulsione, costringe i ragazzi che secondo lui sono stati negativamente influenzati dalle strane idee del professore a firmare una dichiarazione che segnerà definitivamente l’allontanamento dell’insegnante dalla scuola. Solo il ribelle Charlie, detto Nuwanda, verrà espulso anche per episodi precedenti di insubordinazione, mentre gli altri firmeranno a malincuore costretti anche dai genitori.

Il preside sostituirà temporaneamente Keating nella classe e durante una sua monotona, severa e tradizionale lezione sulla poesia, il professore entra in classe per recuperare alcuni oggetti personali prima di lasciare la scuola. I ragazzi lo guardano sentendosi in colpa e mentre Keating sta per andarsene sarà Todd a superare definitivamente la sua timidezza e a ribellarsi salendo in piedi sul banco declamando “O Capitano, mio Capitano!” facendo imbestialire il preside.

8f391e27011a617933a9b5e3bda3e42d.jpgIn questa memorabile scena finale uno per uno anche altri ragazzi fanno la stessa cosa incuranti del preside che urla loro di scendere e al professore di andarsene. Da lassù sui banchi guardano intensamente, con commozione e gratitudine, il loro prezioso insegnante che li ringrazia soddisfatto di quella loro dimostrazione.

Soddisfatto di avergli insegnato a diventare liberi pensatori, perché solo nei sogni gli uomini sono davvero liberi.

La Leggenda del Pianista sull’Oceano

Non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia e qualcuno a cui raccontarla.

Ne è convinto il trombettista Max Tooney, personaggio interpretato dall’attore Pruitt Taylor Vince, che in un film racconta la storia incredibile del suo grande amico pianista, il più grande pianista mai esistito al mondo, tanto grande da diventare leggenda e tanto incredibile da non scendere mai, nemmeno per un istante di tutta la sua vita da una nave che viaggia sull’Oceano.

La storia è tratta dal monologo teatrale Novecento, di Alessandro Baricco, ed ha ispirato un film a Giuseppe Tornatore che, con le musiche di Ennio Morricone, firma la pellicola che sta al secondo posto nella classifica personale dei film più belli visti finora nella mia vita: La Leggenda del Pianista sull’Oceano. Un altro film, datato 1998, che ha stampato le sue scene e inciso le sue note nella mia anima.

Iniziamo con la musica che apre il film. Le scene sono a bordo del transatlantico Virginian che trasporta tanti passeggeri ad ogni traversata e fra loro anche molti poveri emigranti. Iniziamo a sentirle le note di quella musica… con un clic sull’immagine della locandina…

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Sono le immagini e le note di un concerto, ma chiudete gli occhi mentre ascoltate e immaginate la nave che si sta avvicinando a New York. Immaginate anche un po’ di nebbiolina mentre la musica evolve… e poi cresce… resta come sospesa e… ed esattamente a 3 minuti e 12 secondi esplode in ondate di melodia.  Ciò avviene poco dopo il momento in cui, nel film, fra gli emigranti sulla nave c’è qualcuno, il primo di loro che dopo tanti giorni di traversata avvista nella nebbia la Statua della Libertà e grida “L’Americaaa!!!”, dopodiché tutti esultano e poi si ammutoliscono di meraviglia appena si trovano davanti il panorama di New York.

La storia che Max Tooney racconta a un negoziante di strumenti è quella di Danny Boodman T.D. Lemon Novecento, nato, cresciuto, vissuto, diventato pianista a bordo di una nave che fa rotta sull’Oceano e rimasto unito al destino del transatlantico Virginian fino alla fine.

Che strano nome vero? Ma c’è sempre un perché in tutte le cose. Il nome racchiude le origini del pianista, trovato appena nato a bordo nella nave proprio mentre sta iniziando il nuovo secolo, il Novecento. Il piccolo è abbandonato dentro una cassetta con sopra la scritta T.D. Lemon. A trovarlo è un macchinista di colore che si chiama Danny Boodman e che si affezionerà subito al bimbo e si improvviserà padre adottivo per qualche anno crescendolo a modo suo, in segreto e con tanto affetto nella sala macchine, finchè non morirà per un incidente. L’equipaggio diventa la sua famiglia che prova per il bambino una crescente simpatia. Arrivano però i guai, ma il piccolo furbetto conosce ormai così bene ogni centimetro della nave che riesce a nascondersi per lungo tempo sfuggendo ai poliziotti e a tutti quelli che lo cercano su ordine del comandante per farlo scendere e destinarlo a un orfanotrofio.

Quando ormai a bordo tutti pensano a chissà quale misteriosa fine avrà fatto il bambino, Novecento ricompare improvvisamente una notte seduto al pianoforte in prima classe, mentre suona con stupefacente bravura. Non si sa come ha imparato, ma ci è riuscito da solo senza conoscere la musica… e la storia assume sempre più i contorni di una leggenda.

Quella nave continua ad essere la sua famiglia e la sua casa per gli anni che seguono, durante i quali diventerà adulto e lavorerà come pianista della nave, colui che suona per lavoro su un pianoforte a coda nelle serate in prima classe, e per diletto in terza classe, con un pianoforte verticale. Colui che suona solo in mare aperto e mai a terra. Lo impersona un intenso Tim Roth che con maestria ne interpreta la spontaneità, il candore, l’ironia e la disarmante e spiazzante ingenuità.

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In questo video Max Tooney viene assunto come trombettista e sale a bordo della nave. Lo incontra e lui è già nel pieno del suo talento di pianista. I due suoneranno insieme per diversi anni diventando molto amici e condividendo musica e ironia… come in questa prossima scena dove il mal di mare e la tempesta diventano un’occasione per improvvisare una divertente sequenza davvero leggendaria che pare quasi una favola… 

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In prima classe Novecento è un esecutore di musica che gli viene richiesta attenendosi alle “note normali” anche se talvolta la sua indole disubbidiente lo lascia andare a qualche divagazione personale sulla tastiera, mentre in terza classe, fra gli emigranti in cerca di fortuna in America, si trasforma liberamente in un improvvisatore di una musica mai sentita… non legge le note, ma quando suona si accende il mondo.

60d26d1da616df4c9f0209b72899528b.jpgEra come quando si sedeva al pianoforte e attaccava a suonare, non c´erano dubbi nelle sue mani, e i tasti sembravano aspettare quelle note da sempre, sembravano finiti lì per loro. Sembrava che inventasse lì per lì: ma da qualche parte, nella sua testa, quelle note erano scritte da sempre.

Novecento intanto, dal giorno della sua nascita non è ancora mai sceso dalla nave a bordo della quale osserva gente nuova in ogni traversata e dai racconti, dai loro sguardi, dai loro gesti, dal loro aspetto, dalla loro andatura, riesce a intravedere e a immaginare il mondo, mille luoghi, migliaia di vite e di storie. È anche da questo che trae ispirazione per improvvisare musica che somiglia ai passeggeri… solo osservando le persone e lasciando andare le dita sulla tastiera del pianoforte raggiungendo talvolta alti livelli di simpatia ed ironia, ma anche di immensa poesia… per esempio quando i suoi occhi, la sua mente, il suo cuore e le sue dita diventano un tutt’uno mentre osserva una deliziosa ragazza al di là di un oblò improvvisando una musica bellissima… ecco qua le sue mani, pronte per iniziare a suonare in questo video… 

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Affascinante… una musica senza nome e che in pochi hanno avuto il privilegio di ascoltare.

Nel tempo quella nave, che è la sua famiglia e la sua casa, diventa anche la sua terra e Novecento non ha nessuna intenzione di scendere. Intanto la leggenda del suo ineguagliabile talento arriva anche in terre lontane: il più grande pianista del mondo vive su una nave. Il suo nome è Danny Boodman T.D. Lemon Novecento.

Un grande pianista jazz, anzi colui che sulla terraferma ha la fama di essere il più grande, apprende dell’esistenza del pianista che suona sull’Oceano e così decide di salire a bordo e di sfidarlo in una gara al pianoforte che rappresenta una scena memorabile del film. Eccola qua divisa in due video da non perdere, parte prima e parte seconda. Ho fatto due “fermo immagine” sulle sigarette, due dettagli molto significativi e ironici nella scena. Buona visione, non ve ne pentirete… e non fatevi sfuggire i particolari, i dialoghi e il finale.

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Max più volte esorta Novecento a scendere da quella nave per andare a conoscere il mondo e guadagnarsi sicura fama e grande successo a terra, ma inutilmente. Soltanto una volta il pianista annuncia improvvisamente di voler scendere dalla nave sorprendendo tutti e anche Max. Il giorno dell’evento tutti lo osservano mentre si appresta a scendere dalla scaletta, con il cappello in testa e una valigia in mano. Uno scalino dopo l’altro… e ancora… fino circa a metà. Poi si ferma osservando la città e la terraferma che si estende davanti a lui… di fronte i grattacieli di New York e alle spalle la sua nave e il suo Oceano… passano degli istanti in cui il suo pensiero forse fa un viaggio infinito andata e ritorno… All’improvviso lancia in aria il cappello che ricade in acqua. Si volta e risale la scaletta ritornando a bordo senza spiegazioni. E sarà per sempre.

A scendere dalla nave qualche tempo dopo sarà Max che, a causa della crisi dovuta allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale è costretto ad andare in cerca di fortuna altrove. Passano ancora altri anni e il transatlantico Virginian è ormai in disarmo, ormeggiato nel porto e in attesa di essere demolito. Da quelle parti si trova a passare nuovamente Max che preoccupato per la sorte dell’amico, di cui non ha più saputo nulla, racconta a tutti gli uomini del porto di aspettare a far saltare in aria la nave e tenta di raccontare la storia di un famoso pianista che è come se non fosse mai esistito… ma tutti lo guardano come se stesse farneticando e non lo credono. Riesce lo stesso a salire a bordo della nave, ormai quasi un relitto arrugginito. Lo cerca ovunque, lo chiama. Sa che se è vivo è sicuramente ancora a bordo. Lo chiama ancora, a lungo, ma non ottiene risposta… poi, mentre sta per scendere deluso, i due finalmente si incontrano. Novecento non è mai sceso e vive ancora, non si sa come, su quella nave… la leggenda continua, ma a terra è stata dimenticata e solo Max si ricorda quella storia. Cerca di convincerlo a scendere stavolta perché ormai è l’unica cosa da fare in vista della demolizione. Nel farlo gli chiede anche perché quella volta in passato non scese dalla nave e si fermò sulla scaletta tornando indietro.

Ed ecco la risposta di Novecento: «Tutta quella città… non se ne vedeva la fine… La fine, per cortesia, si potrebbe vedere la fine? E il rumore. Su quella maledettissima scaletta… era molto bello, tutto… e io ero grande con quel cappotto, facevo il mio figurone, e non avevo dubbi, era garantito che sarei sceso, non c’era problema. Col mio cappello blu. Primo gradino, secondo gradino, terzo gradino… Primo gradino, secondo gradino. Non è quel che vidi che mi fermò. È quel che non vidi. Puoi capirlo, fratello?, è quel che non vidi… lo cercai ma non c’era, in tutta quella sterminata città c’era tutto tranne… C’era tutto. Ma non c’era una fine. Quel che non vidi è dove finiva tutto quello. La fine del mondo.
Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono 88, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu, sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi fare. Loro sono 88. Tu sei infinito. Questo a me piace. Questo lo si può vivere. Ma se tu. Ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me si srotola una tastiera di milioni e miliardi…
Milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai e questa è la vera verità, che non finiscono mai e quella tastiera è infinita. Se quella tastiera è infinita non c’è musica che puoi suonare. Ti sei seduto su un seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio. Cristo, ma le vedevi le strade? Anche solo le strade, ce n’era a migliaia, come fate voi laggiù a sceglierne una. A scegliere una donna. Una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare, un modo di morire. Tutto quel mondo. Quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce. E quanto ce n’è. Non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi solo a pensarla, quell’enormità, solo a pensarla? A viverla… Io sono nato su questa nave. E qui il mondo passava, ma a duemila persone per volta. E di desideri ce n’erano anche qui, ma non più di quelli che ci potevano stare tra una prua e una poppa. Suonavi la tua felicità, su una tastiera che non era infinita. Io ho imparato così. La terra… quella è una nave troppo grande per me. È un viaggio troppo lungo. È una donna troppo bella. È un profumo troppo forte. È una musica che non so suonare. Perdonatemi. Ma io non scenderò. Lasciatemi tornare indietro. Per favore.»

Il pianista non scenderà mai dalla nave. Max, seppur con grande dolore, rispetta quella sua scelta e lo saluta con un abbraccio bellissimo. Poco dopo la nave viene fatta esplodere. La storia che Max finisce di raccontare al negoziante di strumenti, nel cui negozio ha ritrovato i due pianoforti di Novecento e l’incisione di quella musica senza nome, è la Leggenda del Pianista sull’Oceano, Danny Boodman T.D. Lemon Novecento, il più grande solleticatore d’avorio dei 7 Mari, brevemente riassunta in queste immagini…

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Anch’io dopo aver visto il film avevo da parte questa buona storia e se qui sul mio blog troverò qualcuno a cui raccontarla, non sarò fregata veramente :o)

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Viaggio spazio-temporale

Qualche tempo fa ho fatto un viaggio. In realtà breve, da Firenze a Prato, ma virtualmente della durata di 4 miliardi e mezzo di anni nel tempo e nello spazio. Niente fantascienza, state tranquilli, “solo” scienza. Ho semplicemente visitato il Museo di Scienze Planetarie di Prato e potete farlo anche voi, adesso, in quest’istante, in una sorta di teletrasporto internet. Basta un clic su www.mspo.it, ma aspettate solo un attimo che finisco di raccontarvi quello che ho visto e quello che vi aspetta.

c243e092e1facfb782f5043c79ceb9a4.jpgIl museo è interamente dedicato alle meteoriti e alla loro evoluzione, lungo un percorso che va dal materiale interstellare fino ai minerali e si può inoltre esplorare la storia del sistema solare.

L’esposizione complessiva ha un grande effetto scenografico, ci sono postazioni multimediali e una strepitosa Quadrisfera, un gioco di specchi che fa sembrare di essere di fronte a un’enorme globo ricoperto di schermi video che moltiplicano immagini. Si entra ed incomincia un filmato che, partendo dalla nascita dell’Universo, mostra la formazione delle stelle e dei pianeti, gli impatti con le meteoriti, la comparsa della vita sulla Terra, l’evoluzione e il progresso. Sono rimasta a bocca aperta… meraviglioso filmato, immagini spettacolari con coinvolgente musica di sottofondo. Ma quello è solo l’inizio.

Lungo il percorso vengono illustrati i vari tipi di meteoriti, mostrati i crateri da impatto sui vari pianeti ed affrontato l’argomento delle estinzioni di massa dovute a questi fenomeni sulla Terra. Se vi interessa e non lo sapete, ho scoperto che le meteoriti sono suddivise in 3 grandi categorie: litiche, litico-metalliche e metalliche a seconda della composizione chimica. In alcune c’è presenza di carbonio, elemento alla base della vita, in quanto fondamentale per la formazione delle molecole organiche.

In esposizione ho trovato anche i modellini delle molecole dei cristalli di carbonio come la grafite e il diamante… immaginate un po’ il mio interesse!!! 

Le meteoriti vengono anche classificate in due gruppi. Quelle falls, cioè viste cadere e raccolte, e quelle finds, cioè non viste cadere e ritrovate in seguito. Di solito prendono il nome dal luogo del ritrovamento. Le meteoriti falls e finds conosciute dal 1740 al 2004 sono in totale 29.886.

Ad un certo punto mi sono trovata di fronte ad una meteorite proveniente da Marte.  Si chiama DaG670 ed è stata trovata nel 1999 nel Sahara libico. Sulla base delle analisi degli isotopi dell’ossigeno è stata accertata la provenienza da Marte 60.000 anni fa in seguito a un impatto sul pianeta rosso colpito da un meteroide. Le rocce colpite dall’urto in questi casi raggiungono velocità tale da superare la velocità di fuga del pianeta e allontanarsi nello spazio per essere poi catturate dal campo gravitazionale terrestre. DaG670 non presenta crosta di fusione,  pesa 688 gr., è in ottimo stato di conservazione ed è un campione di rilevanza mondiale!

 

Lungo il percorso del museo sono esposte una quantità notevole di meteoriti, anche provenienti dalla Luna, infine l’esposizione si conclude con i minerali terrestri, forme fantastiche e colori stupendi, bellissimi esemplari… non ne avevo mai visti di così particolari. Uno per tutti che mi ha colpita: un cristallo di quarzo che sembra un diamante incastonato in un blocco di marmo di Carrara.. che bello!

 

Ma ce ne sono di stupendi! Dei blocchi di cristalli eccezionali! In particolare c’è una vetrina espositiva con minerali fluorescenti ed appositi giochi di luce, buio e raggi ultravioletti per esaltare il fenomeno. La fluorescenza di questi minerali è determinata dall’assorbimento di energia da parte degli atomi in seguito al quale gli elettroni si spostano da un livello energetico inferiore a uno superiore, dopodichè tornano al livello energetico originario liberando parte dell’energia assorbita sottoforma di luce visibile. Ma non ci sono parole, bisogna vederli!

Gli effetti scenografici che mi hanno colpita di più, oltre all’imponente quadrisfera, sono delle stelline che illuminano i muri del corridoio d’ingresso e una scritta luminosa proiettata su una parete di una sala espositiva.

È attribuita a un Anonimo nel IX Sec. e ve la riporto testualmente: Sulla montagna ad occhi chiusi odoro il buio delle stelle ed i sinuosi spazi infiniti, ascolto l’energia che muove cielo e terra. Tutto è immobile e tutto si muove.

Con questa frase vi saluto e adesso siete autorizzati a teletrasportarvi sul sito del museo :o) 
 

Musica in volo

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Aerei Aermacchi MB-339. Italiani.

Frecce Tricolori, la Pattuglia Acrobatica Nazionale migliore del mondo. Piloti italiani.

Musica di Giacomo Puccini, per me al top nel suo genere. Italiano.

Voce di Luciano Pavarotti, una grande voce. Italiano.

Il Tricolore vola alto!

Ogni volta rivedere queste immagini con questa colonna sonora è sempre un’emozione.

Dal vivo è qualcosa di sublime!

Grazie agli italiani che “volano alto” e a quelli che nel mondo portano i suoni, i sapori, l’arte… e i colori del paese del sole… anzi…d6ca9940b019fd1f45732c79cb2b276e.gif … d’ ‘o paese d’ ‘o sole!

6 settembre 1931 – 1° febbraio 1994

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Oggi è il 6 settembre, il compleanno di mio padre. Ma prima di fargli gli auguri mi soffermo a rileggere una cosa che ho scritto 13 anni fa, dedicata a lui e intitolata “1° Febbraio 1994″… 

È ancora buio. Apro le finestre dell’ufficio vuoto. È una mattina fredda e il cielo inizia un’alba limpida. Accendo video, tastiera e stampante. Solito rumorino. Solito sibilo nel silenzio. Ho ancora i piedi freddi. Poso la borsa, le chiavi del motorino e mi tolgo il giaccone. Con la mano pettino i capelli schiacciati dal casco. Tra un’ora entreranno i colleghi, inizierà la giornata, arriverà gente. Nella mia anticipata ora di straordinario, per poter uscire prima e catapultarmi a casa per la staffetta con mio marito, devo inserire i dati di alcune fatture, timbrare le bollette e forse se c’entra… Chissà se i bambini sono già svegli.

Squilla il telefono. È presto per le informazioni. Chi sarà? Una voce familiare. Una notizia. Lo stomaco improvvisamente fa male. Lungo il corpo una strana sensazione. Riattacco. Recupero la mia roba e corro giù per le scale. All’uscita due parole per giustificare la fuga. Mi viene da piangere. Corro via. Da Piazza Duomo a casa esattamente dieci minuti di motorino a tutta birra rispettando i semafori rossi solo per istinto di sopravvivenza. La strana sensazione non è passata. Il casco rischiaccia i capelli e copre le lacrime. Sotto casa tua chiudo il motorino e mi sforzo di non piangere. Salgo di corsa.

Sei a letto. La mamma e Stefano ti hanno aiutato a rialzarti. Eri caduto. Eri svenuto. Ti vedo sorridermi. Ti sei ripreso. Mi parli e non ti lamenti come del resto non hai mai fatto durante tutta la malattia. E la tensione si allenta perché siamo lì con te, io, la mamma e Stefano e parliamo, sdrammatizziamo.

Arriva Andrea. Impauriti io e lui ci guardiamo. Come hai lasciato i bambini? Tutto a posto, mi tranquillizza. Poi tutti insieme a scambiare qualche altra parola, l’ennesima, per convincerti, o convincerci, che ti riprenderai e che sei debole per quello che hai avuto. Qualche battuta forzata, una stretta di mano, un bacio per tirarti su.

Rimango qui stamattina. Ma no sto meglio, ritorna pure in ufficio, hai già così poche ferie. Ma ti vedo così dimagrito nella giacca a righe del pigiama, il volto scavato, la piazzetta sulla testa spettinata, il colorito giallo che nasconde il pallore. No, babbo, ormai non ci ritorno, voglio stare qui, non mi muovo.

Quasi le otto del mattino. C’è più luce fuori. Vedo il sole attraverso la tenda. Il vetro è un cristallo gelato. All’improvviso dici una cosa senza molto senso. Non ci capiamo. Non era mai successo. Mai nella mia vita ti ho sentito parlare a sproposito. Cerchi qualcosa vicino alla bottiglia dell’acqua, ma non riesci a dire cosa. Di nuovo una strana sensazione in tutto il corpo. Lo stomaco mi fa male di nuovo.

Non parli più. Chiudi gli occhi e respiri piano. L’ambulanza non arriva mai. Forse non si è illusa come noi aggrappandosi a un filo di speranza che svanisce, e giunge piano piano, senza fretta. La mia mano stringe la tua, calda e magra, ma ancora grande e sicura. Io e Andrea ci guardiamo. La mamma già piange. Stefano cammina nella stanza. Non rispondi. Il tuo respiro è lento e infrequente. La tua mano ancora nella mia, sempre calda.

Poi in un attimo apri gli occhi più del solito e fissi stupito un punto indefinito del soffitto. Ti parlo, ti chiedo cosa vedi. Non mi rispondi. Sento le lacrime annebbiarmi gli occhi. La mamma si siede accanto con gli occhi gonfi, increduli che sia già arrivato quel momento. Stefano piange alla finestra. Andrea è immobile, serio. I volontari dell’ambulanza con la giacca arancione sono fermi in un rispettoso silenzio e la dottoressa, dispiaciuta, ti visita inutilmente. Il tuo polso è troppo debole, i tuoi occhi di nuovo chiusi dopo quello sguardo stupito come verso un meraviglioso mistero. Lo stetoscopio sul tuo addome segnato dai bisturi non servirà.

L’orologio della nonna sul mobile continua il movimento del suo pendolo. Lui non si è fermato alle nove. Ho avvertito il tuo ultimo respiro mite. La tua mano di nuovo nella mia, sempre calda. Pianto. Silenzio. Solo il rumore della valigia del medico che si chiude.

Il tuo viso è sereno, quasi sorridi. Il tuo male assassino è morto, non può farti più niente e noi possiamo piangere di fronte a te senza preoccuparti. Ti sistemano nella stanza che era la mia, con la tappezzeria a fiori che desideravo da bambina. Ogni tanto ci abbracciamo fra noi intorno a te e ti guardiamo increduli. I miei figli, i tuoi tre nipotini che hai dovuto lasciare, non ci sono, sono troppo piccoli per essere qui adesso, ma si ricorderanno sempre di te.

Il calore e le belle parole della gente, tanta, si alterna al gelo del dolore nel cuore, crudele, e ci commuovono le lacrime della lattaia di fronte, gentile e grassoccia nel suo cappotto corto brizzolato. È venuta a restituirti un sorriso, uno dei tanti che tu hai distribuito a tutti. Sempre.

Strette di mano sincere, calde, e dalla finestra il sole rigido e secco di febbraio. Ti prendo di nuovo la mano, ormai fredda.

Da allora avverto il tuo calore in ogni cosa bella della vita.

Auguri lo stesso babbo.

Ah, mi raccomando, conserva come un fiore, come hai sempre fatto in vita, anche la mamma che dal 12 aprile 2002 ti ha raggiunto, ovunque tu sia, ovunque voi siate.

a930a3c11983cd31e6c370307e9784bb.jpgIo  vi immagino ancora così, giovani, belli e felici. Chissà se dalla vostra dimensione potete percepire i miei pensieri, le mie parole scritte… chissà.

A qualunque età, anche da adulti, quando muore il padre ci si sente smarriti, qualcosa dentro si rompe, ma quando muore la mamma lo smarrimento è tale da strapparti dentro e ti senti improvvisamente solo anche se sei adulto, già genitore, ormai già autonomo e anche se solo non sei.

Provi una sensazione difficile da spiegare… poi naturalmente la tua vita va avanti, sei un uomo o una donna, marito o moglie, padre o madre, e ti rassegni a quella legge di natura che nella maggior parte dei casi vede volar via prima i genitori e poi i figli, anche se talvolta in maniera un po’ prematura. Ma anche se la tua vita va avanti il ricordo resta e la nostalgia torna nei momenti di tristezza perché avresti bisogno di una carezza, di un consiglio, di un abbraccio sicuro, ma anche in quelli di gioia e soddisfazione perché vorresti condividerli e non puoi più farlo.

Banana geostazionaria

d32461a9b7a22652d750a14d27d5ec0a.jpgQuando mi imbatto in notizie simili non resisto. La tentazione della diffusione è praticamente invincibile e allora cedo.

Pare che nell’estate del 2008 verrà lanciata nei cieli del Texas una gigantesca banana geostazionaria.

Allora… ok… capisco che la cosa può spiazzare così su due piedi… un attimo che ricomincio e scandisco meglio: l’anno prossimo, in estate, nei cieli del Texas verrà fatto volare un dirigibile a forma di enorme banana!

Aspettate che controllo sul sito… avrò mica capito male? Ma com’era?… Ah sì… dunque… w… w… w… eccolo

 www.geostationarybananaovertexas.com

Ma sì ho capito bene! Sul sito, in 5 lingue perché la banana è internazionale, c’è scritto tutto in maniera dettagliata con tanto di foto e dati tecnici.

Ebbene sì, stanno costruendo un dirigibile-bananone! Il progetto è un mix di arte e ingegneria, di simbolismo e di tecnologia. Una via di mezzo fra la surreale buffonata e un atto di coraggio.

792e3da2ef8350203c345a9a643acadb.jpgChe dirvi… sul sito si analizza la parte concettuale dell’iniziativa che pare possa avere molti significati: semplicità, sintesi (dal punto di vista della macedonia in effetti…), stupidità, ironia, umorismo, inutilità (oddio…), banalità (o bananalità?… eh eh), profezia… (ah ah! forte questa!), pubblicità (probabile), estraneità (in Texas non crescono banane), simbolismo fallico (vedi foto col cowboy che fa pipì), ma anche celebrazione dell’arte in stile Warhol.

510a5ee5eff327810cde757718abd109.jpgComunque sia stanno facendo le cose tecnologicamente sul serio e in grande. Il bananone ha una struttura interna in bambù ricoperta da una “buccia” sintetica di nylon giallo disegnato per dare maggior realismo, e misura circa 300 metri di lunghezza. Verrà riempita di elio, dotata di alcune strumentazioni per la stabilità aerodinamica e la traiettoria che si otterrà sfruttando il principio del boomerang, e lanciata a quota 30-50 km da terra. Verrà stabilizzata tra la bassa orbita terrestre e l’alta atmosfera restando visibile notte e dì per circa un mese solo nello stato del Texas e zone limitrofe. Attualmente sono in piena fase ingegneristica ed è in corso la Fase IV – Sviluppo della propulsione e prove. 

Ok, ora vi lascio così andate a visitare il sito e la galleria fotografica. Da non perdere la video gallery con i seguenti filmati: Phase III, 3D Bamboo, Flying Banana e… Banana in Space.

226862481e73be8580917a204e019aea.jpgDopo l’ultimo titolo e vedendo quel puntino giallo nella foto ho una domanda che mi sorge spontanea: chissà se poi faranno anche il film 2008, Banana nello spazio… ?  

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Settembre da leggere

46ac192d8c1c9ca2277b91639366d582.jpgPuntualissimo torna online BAZAR con un editoriale che dà il via al nuovo numero di settembre come sempre ricco di rubriche.

Ecco qua le mie, provare per credere… anzi, cliccare per leggere! 

SIAMO A 7EMBRE. È MATEMATICO! E allora provate un po’ a calcolare queste equazioni e questi problemi… Troverete soluzioni MOOOLTO interessanti! – La mia rubrica sui Corsi questo mese usa un linguaggio ispirato alla matematica per segnalare corsi per tutti i gusti e per tutte le esigenze, anche quelle più impreviste per le quali occorrono doti di improvvisazione.

CRAZY WORLD – Sogno di una notte di fine estate: il Brasile a Venezia, fiori irreali, tavoli extraterrestri, muri parlanti, gioielli di cioccolato, cucine dado-sferiche, case che si nutrono di spinaci e poltrone col DNA.E non solo, perché nella rubrica di Architetture & Design vi parlo anche di design americano e di Elicotteropoli, la città di San Paolo in Brasile con centinaia di eliporti sui tetti dei propri palazzi.

Buona lettura.