Se fossi cosa

Aggiornamento del 23 dicembre 2007:

Ho realizzato un video su Youtube scegliendo le immagini che sentivo più adatte per una canzone per me molto particolare.

Un anno o due fa un carissimo amico mi ha regalato un cd della PFM, Passpartù, anno 1978.

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Contiene una canzone che mi somiglia. Si intitola Se fossi cosa.

Questo è il testo:

Se fossi una bottiglia io vorrei
se io fossi una bottiglia aspetterei
la tua bocca che da me
ricevesse il mio non so che
quello che io contengo lo darei
così vuoto resterei
e tra i vuoti finirei

E fossi un foglio io vorrei
Se io fossi un fogilo aspetterei
che scrivessi su di me

io vorrei, vorrei, sentire su di me
la tua mano che ti disegnerà
la tua follia, i tuoi sogni, la realtà,
la tua lista della spesa basterà
nel cestino io finirei

E se fossi cosa cosa sarei
e se fossi cosa cosa sarei

E lo so, lo so, che non t’ingannerò
scoprirai di nuovo la mia identità
e io sarò cosa solo per metà
e sarò cosa solo per metà
Se fossi cosa cosa sarei
e se fossi cosa che sarei…
se fossi cosa cosa sarei
 

Per vedere il mio video un piccolo clic QUI

Buona visione e buon ascolto.

Per il cd e per la dedica della canzone ancora un grazie di cuore al mio grande amico Frank!

 

Un sogno fra buonanotte e risveglio

Era il 1974 quando, mentre stavo sbocciando, ascoltai una canzone che si intitolava Margherita. Questa è la versione originale…

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Mi ricordo che mi colpì molto. Avevo 11 anni e quella canzone accompagnò il mio fiorire… e i petali di quel “fiore” li sfoglio ancora. Qualche tempo fa l’autore l’ha interpretata dal vivo in maniera molto intensa e rivedendo il video ho pensato a una buonanotte con le note e le parole di Margherita…

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In una notte così è impossibile non sognare. E sognando si può volare sulle note di Francesco De Gregori…

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E mentre sogno respiro piano per non far rumore… mi sono addormentata di sera e mi risveglierò col sole, chiara come un’alba, fresca come l’aria…

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… e con una nuova energia!

Lui & Lei

Oggi mi è tornata in mente una canzone molto molto particolare, forte… potente.

Oggi ho deciso di riascoltarla.

Oggi ho trovato due video. Il primo cantato da un uomo, l’appassionato autore. Il secondo cantato da una donna, straordinaria e intensa interprete.

Oggi li ho messi qui sul blog.

Oggi sono io…

Cantata da lui, Alex… 

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Cantata da lei, Mina!

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Il Postino

Ci sono stati, ci sono e ci saranno molti attori bravi, ma quando senti che a qualcuno di loro vuoi bene anche senza conoscerlo personalmente, allora ci dev’essere qualcosa di molto speciale che fa la differenza. Ce ne sono due ai quali voglio bene. Sono entrambi italiani. Uno lo prenderei in braccio e mi piacerebbe un giorno anche solo stringergli la mano… e presto ve ne parlerò. L’altro lo abbraccerei, se fosse possibile… perché non c’è più. Era… è Massimo Troisi.

Il suo ultimo film Il Postino mi è entrato nel cuore. È una perla… un diamante incastonato insieme agli altri in un diadema poetico. Ne parlo mettendolo al 4° posto, ma è un 4° posto particolare perché in fondo, pensandoci, riflettendoci… ha tante cose in comune con i primi tre film che ho nel cuore. Poi vi spiegherò il perché se mi farete compagnia nella lettura di quanto sto scrivendo.

Il film è tratto dal romanzo Ardiente Paciencia del cileno Antonio Skármeta, pubblicato in Italia col titolo Il Postino di Neruda. Interpretato da Massimo Troisi e da lui diretto insieme al regista Michael Radford, è un film del 1994 e nel 1996 la struggente colonna sonora di Luis Bacalov vinse il premio Oscar! Entriamo nell’atmosfera dolcissima del film ascoltandola in un’esecuzione live dell’autore con un clic sulla locandina.

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Nel film Massimo interpreta Mario Ruoppolo, un umile disoccupato, un uomo solo e semplice che vive in un’isola del nostro Sud dove suo padre fa il pescatore. Il film inizia con una scena in un cinema e sullo schermo scorrono immagini in bianco e nero… questo già mi ricorda qualcosa… :o) In platea è seduto anche Mario che segue un cinegiornale che parla del poeta cileno Pablo Neruda, interpretato da Philippe Noiret… che mi ricorda di nuovo qualcosa… :o) Si parla di comunismo, di esilio, di poesie d’amore… che da sempre affascinano le donne. A Mario si illuminano gli occhi alla notizia che il poeta esiliato soggiornerà sulla sua isola.

Trova lavoro nell’ufficio postale perché serve un postino che in bicicletta porti lettere, pacchetti e telegrammi al grande Neruda che andrà ad abitare con la moglie in una casa un po’ lontana. Il colloquio per l’assunzione è proprio alla Troisi… il datore di lavoro gli chiede se sa leggere e scrivere e lui: “so leggere e scrivere… senza correre però…” :o)

Neruda… il poeta amato dalle donne e dal popolo… Mario ne resta affascinato, ammirato. Inizialmente, timido com’è, ne prova soggezione, poi ne diventa amico e i due iniziano a parlare spesso di poesia quando Mario pedalando pedalando gli porta la corrispondenza e si ferma a dialogare un po’ con lui. A pedalare, per di più in salita, è una controfigura di Massimo Troisi, ormai già gravemente malato… Tanta poesia, tanto amore e anche un bel po’ di ideali fra le righe di questo film… se lo conoscete e lo avete amato vi farà piacere ripercorrerne la storia e rivederne alcune scene. Se non lo conoscete non perdetelo… forse alla fine del mio racconto vorrete vederlo al più presto. Non privatevi di questo capolavoro. Non è solo un film, è una Poesia!

Pablo Neruda durante una delle loro chiacchierate, gli parla di metafore, ma Mario non sa cosa sia una metafora e con un candore straordinario scopre grazie al suo nuovo amico che la metafora è un nome complicato che in realtà nasconde una cosa semplice. Infatti Pablo gli dice: “Quando la spieghi, la poesia diventa banale. Meglio di ogni spiegazione è l’esperienza diretta delle emozioni che può svelare la poesia a un animo predisposto a comprenderla”.

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In un’altra scena Pablo e Mario sono seduti in riva al mare e il poeta gli recita una sua poesia. Mario confessa di essersi sentito ondeggiare come una barca sbattuta dalle sue parole. Neruda gli rivela che ha appena creato una metafora. Mario si stupisce ed è tanto contento di essersi scoperto capace di ciò e riuscirà in seguito anche a dare consigli poetici a Pablo definendo “tristi” le reti dei pescatori dell’isola, termine che al poeta piace molto.

Mario resta colpito dalla personalità e dalle parole del poeta non riuscendo a non pensare alla poesia ogni giorno di più, e gli piacerebbe tanto diventare un poeta perché potrebbe far innamorare le donne. Nel frattempo lui si è innamorato di Beatrice, interpretata da una giovanissima Maria Grazia Cucinotta, e non sa come parlarle d’amore e così chiede aiuto al famoso poeta che non conosce la ragazza e gli chiede di descriverla… Il dialogo che ne segue, con Pablo che a proposito di Beatrice cita Dante e gli parla di una malattia chiamata amore e Mario che cade dalle nuvole e non vuole assolutamente guarire, è di una tenerezza e ingenuità infinita, disarmante… Mario non riesce a spiegarsi… com’è la sua Beatrice?… non trova le parole… e allora tira fuori da una tasca una pallina di un calcetto balilla. Una pallina che durante una partita con Beatrice lei si era messa maliziosamente in bocca per gioco facendolo definitivamente innamorare. Senza rendersene conto Mario sta già “scrivendo” la sua prima poesia d’amore… per me quella pallina ne è un verso. Pablo gli regala un quaderno per scrivere poesie e intanto Mario legge anche le poesie di Neruda e impara a recitarne i versi alla sua Beatrice che ne resta affascinata… la poesia non è di chi la fa, ma di chi la usa…

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E così si incoraggia e si mette anche lui a scrivere poesie…

 

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Il postino e il poeta non parlano solo di poesie d’amore e un giorno Neruda gli racconta la storia di un minatore che ha conosciuto in Cile e che gli disse: “dovunque andrai racconta questi tormenti”. Pablo ha sentito il bisogno di scrivere non solo poesie d’amore, ma anche di raccontare nei versi qualcosa che accompagnasse la lotta degli uomini e che fosse la poesia dei maltrattati. All’amicizia, all’amore per la poesia si unisce anche una condivisione di ideali. Mario e Pablo sono davvero molto legati ormai, tanto che il poeta sarà il suo testimone di nozze quando si sposerà con Beatrice, nonostante l’opposizione del parroco che sconsiglia la giovane coppia in tal senso perchè Neruda è comunista…  Proprio durante la festa di nozze Pablo apprende con gioia che può tornare in Cile.

Alla sua partenza lascia alcuni oggetti nella casa sull’isola. Poi Mario glieli farà avere in seguito. I due si abbracciano… che bell’abbraccio! La contentezza di poter tornare in patria si mescola alla tristezza di dover lasciare un grande amico e una splendida terra… uno splendido mare. A Mario dispiace proprio molto che lui se ne vada e dopo la partenza il tempo passa e purtroppo Pablo non si fa più vivo. Mario non fa che pensare alla loro bella amicizia, non smette di stimarlo e di ammirarlo e lo giustifica dicendo: “perché dovrebbe ricordarsi di me? Come poeta? Non valgo niente. Come postino? Come comunista?…”. Un giorno arriva una lettera dal Cile. Spera che sia per lui da parte di Pablo, ma invece è una formale richiesta della segreteria del poeta per l’invio degli oggetti lasciati sull’isola.

Mario nella casa trova un registratore, quel registratore con le loro voci… quando Pablo gli chiese di citare una delle meraviglie dell’isola e lui rispose: “Beatrice Russo”. Gli viene un’idea e usa il registratore per registrare i rumori della sua isola per esaudire il desiderio del suo amico e raccontargli le cose belle di quella sua terra… lo fa e ad ogni rumore assegna un numero e una descrizione. La scena è imperdibile, seguitela passo per passo, via via che lui registra e cataloga i rumori…

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N° 1 – Onde della cala di sotto. Piccole

N° 2 – Onde grandi

N° 3 – Vento della scogliera

N° 4 – Vento dei cespugli

N° 5 – Reti tristi di mio padre

N° 6 – Campana dell’Addolorata, con prete.

N° 7 – Cielo stellato dell’isola

Mentre registra il rumore del cielo stellato lo ammira ed esclama “Bello però… non me n’ero mai accorto che era così bello…”.

N° 8 – Cuore di Pablito (il bimbo che aspetta con Beatrice)

Questa è la più bella poesia del dolcissimo postino Mario Ruoppolo, con versi che si sublimano nell’immensità poetica di quel cielo stellato e che sorridono nel vitale e innocente cuoricino di un bambino.

Dopo un lungo silenzio, 5 anni dopo, Pablo Neruda e sua moglie tornano sull’isola a trovare Mario e Beatrice, ma trovano solo lei e il piccolo Pablito. Mario è morto prima della sua nascita, ma ha lasciato la registrazione che Beatrice non ha più spedito per tenerla con sé per ricordo. La fa ascoltare a Pablo, è un regalo per lui… nel nastro Mario gli dice che gli ha lasciato tanto in dono, che ha scritto una poesia dedicata a lui e se non l’avesse conosciuto non sarebbe mai riuscito a scriverla.

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Il film ormai sta per finire e si vedono le scene di una manifestazione comunista, mentre il compagno Mario Ruoppolo viene invitato a leggere la poesia dedicata al poeta Pablo Neruda fra gli applausi dei presenti, ma scoppiano disordini e… e il foglio cade a terra. Il film finisce mentre Pablo commosso passeggia sulla spiaggia. Davanti il rumore del mare. Dietro la scogliera. Alla fine appare una dedica bianca sullo schermo nero: “Al nostro amico Massimo”.

Massimo Troisi morì 24 ore dopo la fine delle riprese de Il Postino, il suo capolavoro, il suo testamento poetico e politico. Come ho anticipato all’inizio considero questo film… questa poesia… qualcosa che può riassumere i primi tre film che ho nel cuore. C’è l’amore per la poesia che troviamo in quell’elogio alla libertà di espressione e alla creatività che è L’attimo fuggente, il candore, l’ingenuità e la spontaneità dell’intenso protagonista de La leggenda del Pianista sull’Oceano, e infine c’è quel regalo postumo fatto a un grande amico, quella registrazione di rumori dell’isola, così simile a quella pellicola piena di baci che si accorda con una musica infinita e rende sublime l’ultima scena di Nuovo Cinema Paradiso. E così il cerchio si chiude in maniera splendida e perfetta, come un abbraccio immenso, e pensando a questo cerchio facciamoci di nuovo accompagnare dalle dita che sulla tastiera di un pianoforte suonano ancora la colonna sonora de Il Postino. Con un gesto semplice come era semplice Troisi… un clic su questa sua foto…

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Massimo va ringraziato per averci regalato un’emozione capace di svelare la sua poesia agli animi predisposti a comprenderla. Ma va ringraziato anche di essere stato esattamente come è stato. Unico, inimitabile e indimenticabile.

Un paio di amici, fra i tanti, gli hanno reso omaggio in maniera speciale. Pino Daniele, con il quale ha condiviso diversi momenti della sua vita scrivendo insieme anche alcune canzoni, lo ricorda così…

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Il secondo è Roberto Benigni, l’altro attore a cui voglio bene e che vorrei prendere in braccio.  Gli ha dedicato questa poesia che conclude il mio post con il quale, a modo mio, ho abbracciato Massimo Troisi. 

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Riflessi femminili

Pensieri fra le righe del Premio Letterario “Il femminile tra le righe”.

Scrivere significa riflettere. Quella del Premio Letterario Il femminile fra le righe è stata un’occasione piacevole e interessante per riflettere sulla scrittura al femminile.

Il concorso è stato organizzato dall’agenzia Murena Letteraria di Firenze con il patrocinio del Comune di Bologna e della Provincia di Firenze e in collaborazione con le case editrici Fazi, Kowalski, MarcosyMarcos, Minimum Fax e Stranamore Editore.

Mi hanno chiesto di far parte della Giuria ed ho accettato con piacere. Il bando scadeva nel luglio 2007 e la premiazione si è svolta il 7 novembre 2007 a Firenze, in occasione di un evento intitolato Femminilità che ha ospitato incontri, mostre e dibattiti.

Il Premio Letterario prevedeva la partecipazione di romanzi e racconti, scritti sia da mano femminile che maschile, incentrati sul tema della donna trattato sotto molti aspetti ed espresso con qualsiasi genere letterario (storie familiari, romanzi di formazione, storie d’amore, romanzi erotici, mystery, noir ecc.). Un premio letterario dedicato alle diverse identità femminili immerse nelle problematiche sociali e personali ad esse connesse.

È stato molto coinvolgente il mio lavoro di giurata e alla fine di questa esperienza ho scritto alcuni pensieri… qualche riflessione che mi fa piacere riportare anche qui nel mio blog.

Raccontare l’universo donna non è solo prerogativa delle scrittrici che per affinità di genere dovrebbero esserne capaci in maniera più profonda e completa. È vero che per la donna forse è più facile riconoscersi nella scrittura di altre donne e scoprire, o avere conferma, che le proprie sensazioni ed emozioni sono condivise. Ma è anche vero che scrivere un romanzo d’amore o un giallo, una storia erotica oppure noir, un racconto rosa o di avventure sul tema della donna, e farlo in maniera originale e creativa, narrando le emozioni e i pensieri del gentil sesso, non è certo prerogativa solo femminile. Lo è della scrittrice e dello scrittore che riesca a farlo in maniera intelligente, profonda, consapevole e possibilmente ironica e mai banale.

D’altra parte pare che la scrittura femminile tenda, così come l’indole, ad essere più riflessiva di quella maschile, a indagarsi interiormente mettendosi in rapporto con la realtà esterna con maggiore attenzione ai rapporti umani, alle relazioni affettive, all’ascolto dell’altro. Nella scrittura la donna dunque è istintivamente più portata a creare ed esprimere un rapporto di profonda intimità con se stessa riuscendo a scrivere su tutto, anche su argomenti scomodi come la violenza e l’ingiustizia, ma è anche capace di sviluppare grande empatia con gli altri e di ascoltarli e narrarli. Spesso con simpatia, leggerezza e fantasia perché le donne amano l’ironia, l’originalità, la divagazione, il sogno.

Non è corretto generalizzare e non è mia intenzione farlo, ma pare anche che le donne durante la scrittura amino le interruzioni per fare altro e le distrazioni per pensare ad altro, anche se le deviazioni possono far perdere alcuni pensieri per improvvisarne altri. Gli uomini invece sarebbero meno propensi a deconcentrarsi e a “sprecare” i pensieri, e in tal senso ho letto al volo durante una mia disattenta navigazione in internet – e quindi non ricordo la fonte – che l’uomo scrittore sarebbe più monolitico e non scalfibile, mentre la donna è più leggera e frantumabile, anzi viene definita più “ventosa” e propensa a farsi attraversare. Inoltre la donna avrebbe maggiore bisogno e capacità di comunicare condividendo e collaborando, con una visione della vita più reticolare o circolare, con i vari fattori compresenti e contemporanei e quindi da prendere in considerazione agendo a 360°, mentre la visione maschile sarebbe più simile a una linea retta con le azioni allineate in maniera ordinata e puntate verso l’obiettivo della produttività e del risultato.

Mi piace molto immaginare il femminile fra le righe paragonandolo alla poesia. Fra le righe di una poesia c’è spazio per mille interpretazioni e ognuno può ritrovare o scoprire se stesso, oppure cercare l’altro anche nel non detto, fra una parola e l’altra. Importantissime le parole nella scrittura, forse molto più di quando si parla, perché non potendo utilizzare la voce, la gestualità e l’espressività facciale che sono preziose alleate nella comunicazione interpersonale, le parole devono riuscire a coinvolgere e stimolare i sensi e i pensieri, ed essere capaci di visualizzare immagini, di esprimere suoni, gusti, profumi e perfino sensazioni tattili. Sicuramente questo risulta più facile a chi scrivendo tende istintivamente ad entrare in sintonia con l’interlocutore, in questo caso uno o più lettori.

In ogni caso chi scrive di donne deve essere o sentirsi donna oppure conoscere molto bene il mondo e l’animo femminile per non rischiare di cadere nei luoghi comuni che derivano dalla trasformazione che l’armonia fra corpo e mente femminile ha dovuto subire nel tempo specie in relazione alla sessualità che è una sfera così preziosa e affascinante, scrigno di un’energia primordiale, positiva e vitale. In tempi remoti la sessualità femminile era vissuta in maniera più libera e in armonia con la spiritualità, poi nel corso del tempo sono emersi gli stereotipi della donna “facile”, della donna materna, della donna razionale ecc., frammentando l’originale unità. A complicare ancor più le cose nella storia è intervenuta poi anche la chiusura e la repressione che ha portato a considerare la sessualità femminile addirittura come diabolica.

Attualmente c’è una grande confusione perché ai messaggi che si aprono alla libertà etero e omosessuale si contrappongono ancora quelli di forte chiusura dovuta alle tradizioni religiose e culturali. Nel frattempo poi la donna è diventata più aggressiva e per ottenere gli stessi diritti dell’uomo, specie in ambito lavorativo, talvolta si è troppo mascolinizzata con il rischio di nascondere quel fascino che è invece l’essenza e la potenza della femminilità. Invece la vera parità sta nell’ottenere gli stessi diritti, le stesse opportunità di potere decisionale e di carriera direttiva senza dover nascondere la propria femminilità che non è un “vestito” da mettere o togliere esteriormente, ma una qualità tipica e innata, e quindi istintiva, della donna.

Il rischio di cadere nei luoghi comuni e nel pregiudizio quando si scrive del femminile, e della sessualità, è dunque presente e quindi bisogna porre molta attenzione a coniugare con armonia materialità e spiritualità per recuperare l’originale interezza e l’essenza dell’identità femminile.

Fra le righe di svariati testi pervenuti per il premio letterario è stato raccontato, a volte bene e a volte meno bene, anche l’erotismo, un universo così speciale, così ricco di interessanti sfaccettature, sia sentimentali che istintive, così meraviglioso e affascinante da scoprire, da vivere e raccontare in maniera intelligente e fantasiosa, sia allusiva che esplicita e, perché no, anche ironica.

I partecipanti al premio, scrittrici e scrittori, hanno trattato con passione molti temi. Storie colorate di romantico rosa, di misterioso giallo o inquietante noir, racconti di fantasia o storie di comuni donne moderne al lavoro, ma anche di antiche donne mitologiche. Donne in crisi coniugale e esistenziale,  alle prese con rapporti difficili con le proprie madri, o con maternità negate oppure semplicemente con i figli e la quotidianità. Donne in cerca di vie di fuga dalla routine, di nuovi ruoli da interpretare e di storie da inventare, ma anche a caccia di etichette di cui liberarsi. Storie drammatiche la cui lettura avanza come fango e urla in silenzio mentre narra di donne e bambine abusate, ma anche racconti di donne capaci di sdrammatizzare con ironia i momenti difficili. Storie di viaggi intellettuali e artistici nei luoghi dell’anima e di viaggi nei luoghi del mondo in cerca di verità e di pace. Tante storie d’amore. Tanto amore e tanti amori… come quello disperato di una donna adulta che grida “mammaaaaa!” dopo la morte della madre, o quello di chi ha provato almeno una volta nella vita e anche solo per poche ore l’emozione gioiosa e vitale di essere finalmente amata con vera passione.

Rileggendo la prima frase di queste mie righe, cioè “scrivere significa riflettere”, nasce in me il desiderio di concludere in maniera molto personale e in tema con il mio blog, e allora penso che in natura esistono dei cristalli in grado di fare entrambe le cose: scrivere e riflettere. Sono i cristalli di carbonio che compongono sia la grafite opaca e morbida delle matite, sia il diamante, trasparente e durissimo con i suoi scintillanti riflessi. La provenienza di questi cristalli risale alle origini dell’universo e dunque è dovuta all’esistenza delle stelle, mentre il carbonio è alla base di ogni organismo vivente, come per esempio la donna con la sua capacità di generare vita e di rimanere affascinata dai riflessi di un diamante, non certo solo per motivi materiali come si potrebbe superficialmente pensare.

Il diamante è durissimo e tagliente. Fra l’altro nasconde spesso anche del dolore se pensiamo allo sfruttamento delle persone che lavorano in condizioni disumane per la loro estrazione. Ma è prezioso perché antico, raro, primordiale, e riesce a riflettere la luce scomponendola in tutti i colori esistenti, quelli dell’arcobaleno, e ricombinandoli in fantasiose e improvvisate esplosioni di creatività cromatica proprio come in un caleidoscopio.

Immagino il femminile tra le righe come un diamante che scrive i suoi colori con una matita, ma a rendere il tutto molto più interessante, e reale, è la vita che le donne hanno a differenza del diamante e della grafite. Vitali atomi femminili che si combinano con sentimenti ed emozioni, esperienze e conoscenze, istinti e fantasie, soddisfazioni e sconfitte, gioie e dolori, conquiste e ingiustizie… e formano molecole da leggere in sequenze di parole che danno origine alle pagine di un libro che può essere scritto sia da mani femminili che maschili che ne conoscano la formula.

Il libro aperto creerà un ventaglio leggero come una gonna che sventola e lo si può immaginare sia con una copertina in brossura, morbida e avvolgente, che cartonata, forte e protettiva. Sicuramente rivestita di carta bella, leggera e colorata,  che mostrerà con orgoglio il proprio titolo e il proprio nome, e che pagina dopo pagina svelerà il suo mistero. Dietro le bandelle la fantasia di due gocce di profumo, quel tanto che basta per essere immaginato piacevolmente dalla lettrice o dal lettore che fra le righe scoprirà il femminile.

Riccarda Patelli

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Dedicato a me

4 novembre. Mi faccio un regalo per il mio compleanno. Un piccolo concerto dedicato a me. Piccolo ma non per questo meno emozionante.

Affido il compito a Pino Daniele in versione audio-video…

Inizia con una canzone che adoro, Quanno chiove… che bello… figuriamoci cosa verrà dopo se questo è solo l’inizio!

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Bellissima, ogni volta risentirla è un’emozione.  

Secondo pezzo… Anima… un titolo stupendo che già emoziona anche senza immagini e note… sentiamo…  

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Una canzone che entra nell’anima… e poi il video trasporta in un’atmosfera da concerto… il mio regalo prende sempre più forma…  

Chissà il terzo pezzo che sarà… che emozione anche l’attesa! Amore senza fine… anche questo titolo non scherza… il cuore aumenta il ritmo… e anche la musica!  

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Il mare! Stupendo, un concerto al profumo di mare! E cambieremo il mondo ogni volta che vuoi  

Il mare + Pino Daniele = Napoli!

Napule è… non poteva mancare questa canzone!  

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Commovente. Splendida… le mie parole non bastano ad esprimere le emozioni che dona… il mio regalo mi piace sempre più…  

E allora… e allora adesso quale sarà la prossima canzone?… E allora… Allora sì… !  

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Lunedì… Inizia così… dolcissimo modo di iniziare il lunedì… da consigliare, magari in macchina mentre si va al lavoro… la giornata inizia sicuramente meglio.  

E mentre il tempo passa si avvicina il prossimo brano e… toh! Guarda chi c’è?! Una mia concittadina, Irene Grandi che canta insieme a Pino… Se mi vuoi    

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Toscanaccia! Che bravi e che bei colori caldi in questo video…  

L’emozione continua e… quanta gente! Pino ha invitato altri amici… Fiorella Mannoia, Francesco De Gregori e Ron… fantastico… cantano insieme Quando… questa non me la perdo…  

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Tu dimmi quando quando… siamo angeli che cercano un sorriso… sul tuo viso sta per nascere un sorriso… ed io ho sete, ho sete ancora…

È vero, l’emozione continua, anzi aumenta… la prossima è la classica ciliegina sulla mia torta di compleanno… si intitola Vento di passione e insieme a Pino canta una voce straordinaria. Giorgia!  

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Il ricordo di un amore… è come un vento di passione o una rosa rossa… è in una lettera d’amore.. è nel canto del mare…   Questa canzone abbraccia, fa ballare… posso chiedere un bis? Uno solo per favore!… E mentre la canzone inizia di nuovo io chiudo gli occhi e immagino…

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 … immagino di volteggiare, di volare leggera… meraviglioso…

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Grazie.

   

Impagabile pienezza

L’entusiasmo si moltiplica in parole

e riempie frasi

come le note riempiono i silenzi.

Corre incontro a un abbraccio

di frasi condivise

ma inciampa in poche sillabe

e cade

frana

precipita in un monologo.

Ma prima dello schianto

prima del silenzio

prima dell’assenza di musica

una frase l’abbraccia.

Tutto si riempie di impagabile senso

e l’abbraccio diventa immenso.

Le parole tornano a dialogare

la musica ritorna a suonare.

E di nuovo vola in alto

un rinato entusiasmo.

 

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Il silenzio

            Era giovane. Verde sottile vibrante di speranza nel vento d’alta quota. Nato ingenuo fra la vecchia roccia immobile, piccolo filo d’erba, non conosceva il passato della montagna, anziana piena di ricordi.    

            Ignorava il passato del mondo, padre delle montagne partorite dalla crosta terrestre che, materna, le ha pazientemente innalzate per miliardi di giorni. Creature nate da una guerra di spazio, cresciute grazie ai terremoti e al fuoco dei vulcani, le montagne hanno sofferto anche i conflitti dell’uomo. Ma il piccolo filo non sapeva cos’era stata la guerra del fuoco dei primitivi e nemmeno le lotte fra le civiltà della storia.

            La sua innocenza non conosceva il fuoco dei cannoni e delle mitragliatrici e non era stata bruciata dalle fiamme delle bombe. I suoi sogni non erano incubi nel fango delle trincee, prigioni di giovani anime pietrificate dal gelo o striscianti nel dolore. 

            La sua linfa scorreva ignara che sulle montagne fossero state versate tante lacrime da erodere il terreno già graffiato a sangue da una crudeltà che ha sbriciolato le rocce, bruciato i germogli e strappato le radici degli alberi, torturato le foglie e i rami versando la loro linfa rossa ancora calda nella terra vampira che non l’ha più restituita.

            Da lassù il filo d’erba poteva guardare il cielo e immaginare il Paradiso non sapendo che in passato su tavole di roccia di montagna furono scolpite le leggi divine violate dagli uomini tante volte fino a uccidere l’Uomo, che sulla montagna aveva beatificato gli umili, incoronandolo di spine e inchiodandolo alla sofferenza. Anche le montagne nella storia del tempo furono inchiodate di croci e incoronate dal demone della guerra con cespugli infernali di filo spinato, ma questo lui non lo sapeva. 

            Viveva nella pace alta fresca limpida, una pace desiderata e amata dalle montagne, unico sollievo nei ricordi orrendi, ricerca di conforto nel silenzio, speranza che quel dolore non ritorni, bisogno di dimenticare, ma speranza che l’uomo no, non osi scordare le foto marroni di mamme e fidanzate lontane, sottane lunghe sfumate di polvere e schizzate di sangue nelle tasche dei ragazzi soldati.

            E così, dalla valle, una tromba suona le note del Silenzio per ricordare e insegnare. Il piccolo filo d’erba, verde sottile tremante nella brezza della sera sempre più invisibile per lasciar posto alla nebbia, ascolta salire dalla valle quella musica bellissima e triste e, piano piano, conosce, capisce, cresce e soffre, mentre una lacrima d’umido gli scivola addosso fino a cadere sulla terra di montagna, vittima di guerra, che la beve ancora, in silenzio.

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Questo mio breve racconto ha partecipato nel 2004 al Premio letterario Il Molinello (Rapolano Terme – SI) ed è stato inserito nell’Antologia Voci dell’anima.