Il 5 x 1000 per la promozione socio-culturale

Un’idea per il 5 x 1000 di quest’anno?

È possibile destinarlo al Gruppo di Servizio per la Letteratura Giovanile, associazione di promozione sociale che dal 1976 si occupa di iniziative e progetti socio-culturali rivolti ai bambini e agli educatori.

5x1000 al GSLG

Grazie per la scelta del vostro 5×1000 e grazie se vorrete condividere l’invito.

www.gruppoletteraturagiovanile.it

Un finale diverso… di blog in blog

C’era una volta,

anzi no, c’è stato pochi giorni fa, qualcuno che casualmente mi ha chiesto di immaginare e improvvisare un finale diverso per Cenerentola, Biancaneve e Rosaspina (alias Bella Addormentata).

E io ho chiesto: Ma un finale a scelta per una di loro oppure per tutte e tre?

E mi è stato risposto: Fai tu, liberamente…

Ok, e allora finale diverso è stato, ma per leggerlo dovete saltare di blog in blog perché è stato appena pubblicato in tutta la sua brevità su Sgarbo nella mia categoria Frullatore.

Come sempre è molto semplice, basta un clic sul titolo Un finale diverso oppure sull’immagine che ho creato e che appare qui in variopinta anteprima…

Un finale diverso

Buona lettura…

“Qualunque cosa egli dica o faccia, odora di pulizia, di lealtà e di sincerità”

Mi è tornato in mente un episodio carino che ho vissuto sul posto di lavoro. Non solo è piacevole ricordare l’aneddoto, ma anche il fatto che all’epoca avevo 20 anni.

 

Anno 1983. Ero agli esordi con le mie esperienze di lavoro e collaboravo come dattilografa assunta a tempo determinato, per la durata dell’evento, nella Segreteria della Biennale Internazionale dell’Antiquariato fiorentina, all’epoca ospitata dal rinascimentale Palazzo Strozzi. Un evento e una location niente male… tutto così importante ed io così alle prime armi!

 

Ogni giorno imparavo qualcosa di nuovo in ufficio insieme alla mia collega, coetanea e con le mie stesse mansioni. Rispondevamo spesso anche alle numerose telefonate che nei giorni precedenti l’inaugurazione arrivavano di continuo.

 

Dopo pochissimi giorni si presentò una mattina ingarbugliata d’impegni per il mio capoufficio e di telefonate ne arrivarono davvero tante. Ricordo che proprio quel giorno ero sola ed era assente anche la segretaria “anziana”, dunque a rispondere c’ero soltanto io e tutti, famosi antiquari ecc., volevano assolutamente parlare con lui.

 

Dopo qualche telefonata passata, mi proibì un tantino seccato di passargli ulteriori chiamate e con il suo vocione mi disse: “Signorina! Non mi passi assolutamente più nessuna telefonata fino a nuovo ordine! Nemmeno se dovesse chiamare il Presidente della Repubblica!”.

 

In effetti a volte si dice così, tanto per dire. E io, pensando di averla combinata grossa e un tantino intimorita, avevo capito benissimo cosa voleva dire. Quello era un ordine. Niente più chiamate.

 

Iniziai a fare da filtro, prendendo nota dei messaggi da riferire e ad un certo punto squillò nuovamente il telefono e una voce maschile molto affascinante come se fosse un doppiatore di grandi attori, mi disse di essere il segretario particolare del Presidente della Repubblica Sandro Pertini… !!!

 

La mostra era sotto l’alto patrocinio della Presidenza della Repubblica ed era prevista una visita di Pertini in persona. Il suo segretario doveva parlare con il mio capoufficio per comunicazioni in tal senso.

 

Non sapevo se andare nel pallone o se mettermi a ridere. Ripensando al tono autoritario del divieto di passare anche eventuali telefonate presidenziali, risposi imbarazzata che era impegnato in un’importante riunione, il che, effettivamente, era la verità.

 

Mentre mi aspettavo una reazione infastidita o quantomeno sorpresa, dall’altra parte la voce hollywoodiana mi chiese con tono gentilissimo e un tantino divertito chi io fossi.

 

Appena seppe che ero la dattilografa disse ancor più divertito che poteva senz’altro lasciar detto a me. Era sicuro di ciò. Io lo ero un po’ meno. Mi recitò brevemente un messaggio augurale del Presidente che non poteva essere presente all’inaugurazione, ma che sarebbe giunto in visita successivamente e mi comunicò la data.

 

Gli dissi, con un imbarazzo che non voleva passare, che avevo capito tutto benissimo, che avevo preso nota e che avrei riferito quanto prima al mio superiore e che mi dispiaceva ancora se non avevo potuto passarglielo al telefono e…

 

E mi chiese sempre più divertito e gentile quanti anni avessi. Quando seppe la mia età e che occupavo quel posto di lavoro da pochissimi giorni mi augurò una buona giornata e buon lavoro mentre sentivo che ormai quasi rideva mentre mi stava salutando.

 

Finita la conversazione mi chiesi se il mio capoufficio si sarebbe arrabbiato di più per avergli passato la telefonata o per non avergliela passata. Stavo per scoprirlo. Dopo un po’ uscì dalla sua stanza e con tutta la sua corpulenza me lo trovai davanti e mi chiese se l’aveva cercato qualcuno. “Dunque, l’antiquario Tizio e anche quello Caio, il Signor Pinco e la Signora Pallino e anche una telefonata dal Quirinale… il Presidente Pertini le manda a dire che… ecc. ecc…”. Ad essere sincera ciò che provavo mentre riferivo i messaggi era più divertimento che timore.

 

La sua espressione me la ricordo ancora. Seguirono attimi di silenzio e, mentre contavo i secondi in attesa di una sua probabilissima reazione non proprio positiva, lui iniziò con tono serio e mi disse: “Signorina… vedo che mi ha preso proprio alla lettera!”.

Dopo quei puntini di sospensione già aveva iniziato a sorridere e sono sicura che durante quei tre puntini deve essere successo questo nei suoi pensieri:

1° puntino: “Adesso mi sente!”

2° puntino: “Accidenti, però le ho detto proprio io di non passarmi neppure il Presidente!”

3° puntino: “E va bene sorrido…”

Decise che doveva essere assolutamente coerente con se stesso. Ottima scelta. Non poteva certo dare un cattivo esempio contraddicendo le sue stesse parole. Non sarebbe stato più molto credibile in futuro… E detto ciò tornò nella sua stanza e mi disse di non disturbarlo ancora perché doveva fare una telefonata a Roma, al Quirinale…

 

Ma non è finita. L’aneddoto presidenziale proseguì anche qualche tempo dopo, il giorno della visita del Capo dello Stato. Quella mattina appena giunti in ufficio c’era un gran via vai di pezzi da 90 delle varie istituzioni e a me e alla mia giovanissima collega venne ordinato, al passaggio del Presidente nelle sale espositive, di prendere posto fra una transenna e il muro e di non infastidirlo per nessun motivo cercando di avvicinarlo.

 

Mentre Pertini stava visitando i vari piani accadde che l’ascensore si bloccò, ma solo per qualche istante, con lui a bordo. Fu riaperto quasi subito e fecero tutti uso delle scale. Si creò un certo nervosismo nell’aria, ma lui era tranquillissimo e allegro come sempre quando lo vedemmo entrare nel salone dove eravamo transennate in un angolo.

 

Si avvicinava sempre più e, a sorpresa, si staccò dal gruppo di accompagnatori e di guardie del corpo e di sua iniziativa si diresse verso di noi con passo svelto, dicendo: “Ma che bella gioventù fra tutte queste antichità! Chi sono queste due care ragazze?”.

E ci tese la mano al di là di quella transenna. Mentre ce la stringeva volle sapere la nostra età e il nostro incarico all’interno della Mostra. Entrambe 20 anni e dattilografe.

 

“Ah! 20 anni… 20 anni! Care! Brave, brave, buon lavoro!”.

 

Grande Sandro… quanta nostalgia di persone e soprattutto di politici come lui!

Indro Montanelli di lui diceva: “Qualunque cosa egli dica o faccia, odora di pulizia, di lealtà e di sincerità

sandro_pertini_00.jpg

 

Anime attrici e note poetiche

Non sapevo dove inserire questo post, se nella categoria Pentagramma o in quella del Teatro, ma poi qua si parla anche di Poesia e non solo di Teatro e di Musica… e allora che fare?… Ho riflettuto e visto che ciò di cui parlo effettivamente fa riflettere, ho deciso che questo post avrebbe fatto parte delle Riflessioni.

 

Di cosa parla questo post? Di una cosa che mi è tornata in mente, un evento al quale ho assistito un po’ di tempo fa, quando sono stata spettatrice di uno spettacolo teatrale diverso dal solito, dove corpi di attori e attrici hanno ridato vita e soprattutto voce alle anime dei defunti di Spoon River. Questa sorta di resurrezione è avvenuta altrove, domenica 12 novembre 2006 fra le tombe del Cimitero Monumentale della Misericordia di Santa Maria all’Antella, pochi km a sud di Firenze, dove 37 attori toscani hanno recitato alcune delle storie tratte dall’Antologia di Spoon River del poeta americano Edgar Lee Masters (1868-1950).

 

Fra il 1914 e il 1915 furono pubblicate sul «Mirror» e nel 1916 furono raccolte in una versione definitiva. La Collina è la prima lirica che introduce poi i 244 personaggi  appartenenti a varie categorie, mestieri e ceti sociali, che trasformano le loro vite passate in epitaffi poetici raccontati con la sincerità di chi ormai non ha più nulla da perdere.

 

56efea7c82c2b93e589fc5d032124bf1.jpg

Dalla raccolta tradotta in italiano nel 1943 dalla giornalista e scrittrice Fernanda Pivano, affascinata dall’Antologia ricevuta in versione originale da Cesare Pavese, suo professore di liceo, il cantautore Fabrizio De André nel 1971 ha tratto 9 poesie per farne un album musicale intitolato Non al denaro, non all’amore né al cielo.

 

0246f58ef29bfec23062e996ae79edec.jpg                       177bc008cf87b8823e4ecf3903ff593c.jpg

Confesso che non lo conoscevo bene, ma ho trovato il video di ogni singola canzone su YouTube ed ho scoperto un album davvero stupendo! Meglio tardi che mai. Ascoltarne musica e testo merita davvero e potete farlo cliccando su ogni titolo che vi elencherò qua di seguito:

 

La collina è il brano introduttivo dell’album, così come nel testo di Lee Masters è la prima lirica.

 

Un matto è la storia di un uomo che nel testo originale impara a memoria tutta l’Enciclopedia Britannica, mentre nella versione di De André impara la Treccani.

 

Un giudice è la storia di un nano che studiando giurisprudenza diventa giudice e finalmente si vendica condannando coloro che in passato lo hanno deriso, ma inginocchiandosi alla fine non conoscendo affatto la statura di Dio.

 

Questi sono invece alcuni versi di Un blasfemo: Mi arrestarono un giorno per le donne e il vino / non avevano leggi per punire un blasfemo / non mi uccise la morte, ma due guardie bigotte / mi cercarono l’anima a forza di botte.

 

Un malato di cuore è la storia di un malato di cuore la cui anima prese il volo per la troppa emozione del primo bacio d’amore.

 

Un medico è la storia di un dottore che vuol curare la gente povera mentre Un chimico racconta di un farmacista che ama le unioni fra elementi chimici preferendole a quelle fra uomini e donne, e morirà sbagliando un esperimento proprio come gli idioti che muoion d’amore.

 

La storia di Un ottico, che sogna degli occhiali che riescano a cambiare la visione del mondo, diventa la metafora di uno spacciatore di droghe allucinogene.

 

E infine Fabrizio canta la storia de Il suonatore Jones che nel libro è un violinista e nella canzone è un flautista, con tanti ricordi e nessun rimpianto.

 

Ascoltare queste parole e queste note riempie di poesia l’anima… ma a proposito di anime torniamo a quel novembre 2006 che volevo raccontarvi. Gli attori e le attrici erano sparsi fra le tombe, i vialetti, le cappelle, le lapidi del cimitero che quell’anno ha celebrato il suo 150° anniversario e che ospita fra i defunti anche personaggi noti, e hanno interpretato oltre ai personaggi cantati da Fabrizio De André, anche la prostituta, la ballerina, il filosofo, la poetessa e molti altri, dando vita a un percorso, un viaggio attraverso le loro vite vissute, sussurrate con emozione, amore, gioia o malinconia, o urlate con rabbia, odio, amarezza e dolore. Riflessioni di ombre che emergono per un attimo dalla loro evanescenza e, in bilico fra lucidità e follia, poi vi ritornano.

 

La recitazione delle brevi liriche si è svolta a ripetizione per circa due ore durante le quali il pubblico piuttosto numeroso si spostava in gruppetti per assistere via via a tutte le varie interpretazioni che incontrava pellegrinando all’interno del cimitero ed ammirandone l’architettura e le opere scultoree e pittoriche, specie nella parte più antica. Niente consueto silenzio quel pomeriggio, ma un sovrapporsi di voci di attori, personaggi, anime, o semplicemente ricordi sonori anziché solo pensati. La ripetitività delle recite pareva quasi un susseguirsi di preghiere fra le tombe.

 

Dato il tema della rappresentazione e la compostezza da me riscontrata sia negli attori che nel pubblico che ho via via incontrato durante il cammino, non ho trovato fuori luogo l’evento, ma anzi mi ha colpita positivamente e coinvolta in maniera particolare, forse molto più di una silenziosa o solitaria riflessione… meditazione… preghiera?… non so… so solo che ogni tanto, qualsiasi cosa sia, mi riguarda quando, proprio in quel cimitero, torno a trovare i miei genitori persi un po’ troppo presto.

 

Le ultime rappresentazioni sono avvenute al tramonto, un tramonto rosa fra i cipressi, e poi fra centinaia di piccole luci perpetue che nel buio ravvivano la propria luminosità. Molta vita dunque, poesia ovunque, movimento e calore umano, suoni di voci teatrali e di passi in quel luogo di consueto silenzio. Secondo me l’ambientazione era perfetta e ritengo sia un bel modo di fare poesia e teatro, diverso dal solito, e anche una maniera inconsueta per ricordare i defunti, chi con la preghiera o la fede, chi col ricordo e la memoria, chi con entrambe le cose e chi in un modo tutto suo, intimamente inedito e personale.

 

La rappresentazione era stata naturalmente autorizzata, ma nei giorni seguenti le opinioni si sono divise e sui quotidiani locali sono apparse recensioni positive, ma anche critiche di qualche visitatore ignaro che è rimasto spiacevolmente sorpreso da quell’evento. Qualcuno ha addirittura parlato di profanazione e di comportamenti assai fuori luogo da parte del pubblico. Personalmente non ho assistito a niente di simile, ma nonostante l’atmosfera particolare non ero certamente onnipresente, dunque qualche atteggiamento inopportuno, immancabile in ogni contesto della vita, può anche essersi verificato senza molto rispetto del luogo. Ma da condannare è solo questo tipo di comportamento del singolo o di pochi e non certamente la rappresentazione teatrale della compagnia Archetipo del Teatro Comunale dell’Antella, che a mio avviso sarebbe sicuramente da ripetere anche altrove per un pubblico intelligente, corretto e motivato, capace di dare il giusto significato e valore a simili eventi.

 

08467cc4192641c54de7728f9eb2acbc.jpg

Riflessi femminili

Pensieri fra le righe del Premio Letterario “Il femminile tra le righe”.

Scrivere significa riflettere. Quella del Premio Letterario Il femminile fra le righe è stata un’occasione piacevole e interessante per riflettere sulla scrittura al femminile.

Il concorso è stato organizzato dall’agenzia Murena Letteraria di Firenze con il patrocinio del Comune di Bologna e della Provincia di Firenze e in collaborazione con le case editrici Fazi, Kowalski, MarcosyMarcos, Minimum Fax e Stranamore Editore.

Mi hanno chiesto di far parte della Giuria ed ho accettato con piacere. Il bando scadeva nel luglio 2007 e la premiazione si è svolta il 7 novembre 2007 a Firenze, in occasione di un evento intitolato Femminilità che ha ospitato incontri, mostre e dibattiti.

Il Premio Letterario prevedeva la partecipazione di romanzi e racconti, scritti sia da mano femminile che maschile, incentrati sul tema della donna trattato sotto molti aspetti ed espresso con qualsiasi genere letterario (storie familiari, romanzi di formazione, storie d’amore, romanzi erotici, mystery, noir ecc.). Un premio letterario dedicato alle diverse identità femminili immerse nelle problematiche sociali e personali ad esse connesse.

È stato molto coinvolgente il mio lavoro di giurata e alla fine di questa esperienza ho scritto alcuni pensieri… qualche riflessione che mi fa piacere riportare anche qui nel mio blog.

Raccontare l’universo donna non è solo prerogativa delle scrittrici che per affinità di genere dovrebbero esserne capaci in maniera più profonda e completa. È vero che per la donna forse è più facile riconoscersi nella scrittura di altre donne e scoprire, o avere conferma, che le proprie sensazioni ed emozioni sono condivise. Ma è anche vero che scrivere un romanzo d’amore o un giallo, una storia erotica oppure noir, un racconto rosa o di avventure sul tema della donna, e farlo in maniera originale e creativa, narrando le emozioni e i pensieri del gentil sesso, non è certo prerogativa solo femminile. Lo è della scrittrice e dello scrittore che riesca a farlo in maniera intelligente, profonda, consapevole e possibilmente ironica e mai banale.

D’altra parte pare che la scrittura femminile tenda, così come l’indole, ad essere più riflessiva di quella maschile, a indagarsi interiormente mettendosi in rapporto con la realtà esterna con maggiore attenzione ai rapporti umani, alle relazioni affettive, all’ascolto dell’altro. Nella scrittura la donna dunque è istintivamente più portata a creare ed esprimere un rapporto di profonda intimità con se stessa riuscendo a scrivere su tutto, anche su argomenti scomodi come la violenza e l’ingiustizia, ma è anche capace di sviluppare grande empatia con gli altri e di ascoltarli e narrarli. Spesso con simpatia, leggerezza e fantasia perché le donne amano l’ironia, l’originalità, la divagazione, il sogno.

Non è corretto generalizzare e non è mia intenzione farlo, ma pare anche che le donne durante la scrittura amino le interruzioni per fare altro e le distrazioni per pensare ad altro, anche se le deviazioni possono far perdere alcuni pensieri per improvvisarne altri. Gli uomini invece sarebbero meno propensi a deconcentrarsi e a “sprecare” i pensieri, e in tal senso ho letto al volo durante una mia disattenta navigazione in internet – e quindi non ricordo la fonte – che l’uomo scrittore sarebbe più monolitico e non scalfibile, mentre la donna è più leggera e frantumabile, anzi viene definita più “ventosa” e propensa a farsi attraversare. Inoltre la donna avrebbe maggiore bisogno e capacità di comunicare condividendo e collaborando, con una visione della vita più reticolare o circolare, con i vari fattori compresenti e contemporanei e quindi da prendere in considerazione agendo a 360°, mentre la visione maschile sarebbe più simile a una linea retta con le azioni allineate in maniera ordinata e puntate verso l’obiettivo della produttività e del risultato.

Mi piace molto immaginare il femminile fra le righe paragonandolo alla poesia. Fra le righe di una poesia c’è spazio per mille interpretazioni e ognuno può ritrovare o scoprire se stesso, oppure cercare l’altro anche nel non detto, fra una parola e l’altra. Importantissime le parole nella scrittura, forse molto più di quando si parla, perché non potendo utilizzare la voce, la gestualità e l’espressività facciale che sono preziose alleate nella comunicazione interpersonale, le parole devono riuscire a coinvolgere e stimolare i sensi e i pensieri, ed essere capaci di visualizzare immagini, di esprimere suoni, gusti, profumi e perfino sensazioni tattili. Sicuramente questo risulta più facile a chi scrivendo tende istintivamente ad entrare in sintonia con l’interlocutore, in questo caso uno o più lettori.

In ogni caso chi scrive di donne deve essere o sentirsi donna oppure conoscere molto bene il mondo e l’animo femminile per non rischiare di cadere nei luoghi comuni che derivano dalla trasformazione che l’armonia fra corpo e mente femminile ha dovuto subire nel tempo specie in relazione alla sessualità che è una sfera così preziosa e affascinante, scrigno di un’energia primordiale, positiva e vitale. In tempi remoti la sessualità femminile era vissuta in maniera più libera e in armonia con la spiritualità, poi nel corso del tempo sono emersi gli stereotipi della donna “facile”, della donna materna, della donna razionale ecc., frammentando l’originale unità. A complicare ancor più le cose nella storia è intervenuta poi anche la chiusura e la repressione che ha portato a considerare la sessualità femminile addirittura come diabolica.

Attualmente c’è una grande confusione perché ai messaggi che si aprono alla libertà etero e omosessuale si contrappongono ancora quelli di forte chiusura dovuta alle tradizioni religiose e culturali. Nel frattempo poi la donna è diventata più aggressiva e per ottenere gli stessi diritti dell’uomo, specie in ambito lavorativo, talvolta si è troppo mascolinizzata con il rischio di nascondere quel fascino che è invece l’essenza e la potenza della femminilità. Invece la vera parità sta nell’ottenere gli stessi diritti, le stesse opportunità di potere decisionale e di carriera direttiva senza dover nascondere la propria femminilità che non è un “vestito” da mettere o togliere esteriormente, ma una qualità tipica e innata, e quindi istintiva, della donna.

Il rischio di cadere nei luoghi comuni e nel pregiudizio quando si scrive del femminile, e della sessualità, è dunque presente e quindi bisogna porre molta attenzione a coniugare con armonia materialità e spiritualità per recuperare l’originale interezza e l’essenza dell’identità femminile.

Fra le righe di svariati testi pervenuti per il premio letterario è stato raccontato, a volte bene e a volte meno bene, anche l’erotismo, un universo così speciale, così ricco di interessanti sfaccettature, sia sentimentali che istintive, così meraviglioso e affascinante da scoprire, da vivere e raccontare in maniera intelligente e fantasiosa, sia allusiva che esplicita e, perché no, anche ironica.

I partecipanti al premio, scrittrici e scrittori, hanno trattato con passione molti temi. Storie colorate di romantico rosa, di misterioso giallo o inquietante noir, racconti di fantasia o storie di comuni donne moderne al lavoro, ma anche di antiche donne mitologiche. Donne in crisi coniugale e esistenziale,  alle prese con rapporti difficili con le proprie madri, o con maternità negate oppure semplicemente con i figli e la quotidianità. Donne in cerca di vie di fuga dalla routine, di nuovi ruoli da interpretare e di storie da inventare, ma anche a caccia di etichette di cui liberarsi. Storie drammatiche la cui lettura avanza come fango e urla in silenzio mentre narra di donne e bambine abusate, ma anche racconti di donne capaci di sdrammatizzare con ironia i momenti difficili. Storie di viaggi intellettuali e artistici nei luoghi dell’anima e di viaggi nei luoghi del mondo in cerca di verità e di pace. Tante storie d’amore. Tanto amore e tanti amori… come quello disperato di una donna adulta che grida “mammaaaaa!” dopo la morte della madre, o quello di chi ha provato almeno una volta nella vita e anche solo per poche ore l’emozione gioiosa e vitale di essere finalmente amata con vera passione.

Rileggendo la prima frase di queste mie righe, cioè “scrivere significa riflettere”, nasce in me il desiderio di concludere in maniera molto personale e in tema con il mio blog, e allora penso che in natura esistono dei cristalli in grado di fare entrambe le cose: scrivere e riflettere. Sono i cristalli di carbonio che compongono sia la grafite opaca e morbida delle matite, sia il diamante, trasparente e durissimo con i suoi scintillanti riflessi. La provenienza di questi cristalli risale alle origini dell’universo e dunque è dovuta all’esistenza delle stelle, mentre il carbonio è alla base di ogni organismo vivente, come per esempio la donna con la sua capacità di generare vita e di rimanere affascinata dai riflessi di un diamante, non certo solo per motivi materiali come si potrebbe superficialmente pensare.

Il diamante è durissimo e tagliente. Fra l’altro nasconde spesso anche del dolore se pensiamo allo sfruttamento delle persone che lavorano in condizioni disumane per la loro estrazione. Ma è prezioso perché antico, raro, primordiale, e riesce a riflettere la luce scomponendola in tutti i colori esistenti, quelli dell’arcobaleno, e ricombinandoli in fantasiose e improvvisate esplosioni di creatività cromatica proprio come in un caleidoscopio.

Immagino il femminile tra le righe come un diamante che scrive i suoi colori con una matita, ma a rendere il tutto molto più interessante, e reale, è la vita che le donne hanno a differenza del diamante e della grafite. Vitali atomi femminili che si combinano con sentimenti ed emozioni, esperienze e conoscenze, istinti e fantasie, soddisfazioni e sconfitte, gioie e dolori, conquiste e ingiustizie… e formano molecole da leggere in sequenze di parole che danno origine alle pagine di un libro che può essere scritto sia da mani femminili che maschili che ne conoscano la formula.

Il libro aperto creerà un ventaglio leggero come una gonna che sventola e lo si può immaginare sia con una copertina in brossura, morbida e avvolgente, che cartonata, forte e protettiva. Sicuramente rivestita di carta bella, leggera e colorata,  che mostrerà con orgoglio il proprio titolo e il proprio nome, e che pagina dopo pagina svelerà il suo mistero. Dietro le bandelle la fantasia di due gocce di profumo, quel tanto che basta per essere immaginato piacevolmente dalla lettrice o dal lettore che fra le righe scoprirà il femminile.

Riccarda Patelli

07932f0aefc152d6244a2f3215157444.jpg

4 ottobre

Cantico delle Creature
(Laudes creaturarum)
Altissimu, onnipotente, bon Signore,
tue so’ le laude, la gloria e l’honore e onne benedictione.
A te solo, Altissimo, se konfano
e nullu homo ène dignu te mentovare.
Laudato sie, mi’ Signore, cun tucte le tue creature
spetialmente messor lo frate sole,
lo qual’è iorno, et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle:
in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale a le tue creature dài sustentamento.
Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua,
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate focu,
per lo quale ennallumini la nocte:
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra
la quale ne sustenta et governa
et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.
Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore
et sostengo infirmitate e tribulatione.
Beati quelli ke ‘l sosterrano in pace,
ka da te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra morte corporale,
da la quale nullu homo vivente pò skappare:
guai a cquelli ke morranno ne le peccata mortali;
beati quelli ke troverà ne le tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda no ‘l farrà male.
Laudate et benedicete mi’ Signore et rengratiate
et serviateli cum grande humilitate.
(San Francesco d’Assisi – 1225)
0ce62bdc422a6b0947428c871817ba48.jpg

Viaggio spazio-temporale

Qualche tempo fa ho fatto un viaggio. In realtà breve, da Firenze a Prato, ma virtualmente della durata di 4 miliardi e mezzo di anni nel tempo e nello spazio. Niente fantascienza, state tranquilli, “solo” scienza. Ho semplicemente visitato il Museo di Scienze Planetarie di Prato e potete farlo anche voi, adesso, in quest’istante, in una sorta di teletrasporto internet. Basta un clic su www.mspo.it, ma aspettate solo un attimo che finisco di raccontarvi quello che ho visto e quello che vi aspetta.

c243e092e1facfb782f5043c79ceb9a4.jpgIl museo è interamente dedicato alle meteoriti e alla loro evoluzione, lungo un percorso che va dal materiale interstellare fino ai minerali e si può inoltre esplorare la storia del sistema solare.

L’esposizione complessiva ha un grande effetto scenografico, ci sono postazioni multimediali e una strepitosa Quadrisfera, un gioco di specchi che fa sembrare di essere di fronte a un’enorme globo ricoperto di schermi video che moltiplicano immagini. Si entra ed incomincia un filmato che, partendo dalla nascita dell’Universo, mostra la formazione delle stelle e dei pianeti, gli impatti con le meteoriti, la comparsa della vita sulla Terra, l’evoluzione e il progresso. Sono rimasta a bocca aperta… meraviglioso filmato, immagini spettacolari con coinvolgente musica di sottofondo. Ma quello è solo l’inizio.

Lungo il percorso vengono illustrati i vari tipi di meteoriti, mostrati i crateri da impatto sui vari pianeti ed affrontato l’argomento delle estinzioni di massa dovute a questi fenomeni sulla Terra. Se vi interessa e non lo sapete, ho scoperto che le meteoriti sono suddivise in 3 grandi categorie: litiche, litico-metalliche e metalliche a seconda della composizione chimica. In alcune c’è presenza di carbonio, elemento alla base della vita, in quanto fondamentale per la formazione delle molecole organiche.

In esposizione ho trovato anche i modellini delle molecole dei cristalli di carbonio come la grafite e il diamante… immaginate un po’ il mio interesse!!! 

Le meteoriti vengono anche classificate in due gruppi. Quelle falls, cioè viste cadere e raccolte, e quelle finds, cioè non viste cadere e ritrovate in seguito. Di solito prendono il nome dal luogo del ritrovamento. Le meteoriti falls e finds conosciute dal 1740 al 2004 sono in totale 29.886.

Ad un certo punto mi sono trovata di fronte ad una meteorite proveniente da Marte.  Si chiama DaG670 ed è stata trovata nel 1999 nel Sahara libico. Sulla base delle analisi degli isotopi dell’ossigeno è stata accertata la provenienza da Marte 60.000 anni fa in seguito a un impatto sul pianeta rosso colpito da un meteroide. Le rocce colpite dall’urto in questi casi raggiungono velocità tale da superare la velocità di fuga del pianeta e allontanarsi nello spazio per essere poi catturate dal campo gravitazionale terrestre. DaG670 non presenta crosta di fusione,  pesa 688 gr., è in ottimo stato di conservazione ed è un campione di rilevanza mondiale!

 

Lungo il percorso del museo sono esposte una quantità notevole di meteoriti, anche provenienti dalla Luna, infine l’esposizione si conclude con i minerali terrestri, forme fantastiche e colori stupendi, bellissimi esemplari… non ne avevo mai visti di così particolari. Uno per tutti che mi ha colpita: un cristallo di quarzo che sembra un diamante incastonato in un blocco di marmo di Carrara.. che bello!

 

Ma ce ne sono di stupendi! Dei blocchi di cristalli eccezionali! In particolare c’è una vetrina espositiva con minerali fluorescenti ed appositi giochi di luce, buio e raggi ultravioletti per esaltare il fenomeno. La fluorescenza di questi minerali è determinata dall’assorbimento di energia da parte degli atomi in seguito al quale gli elettroni si spostano da un livello energetico inferiore a uno superiore, dopodichè tornano al livello energetico originario liberando parte dell’energia assorbita sottoforma di luce visibile. Ma non ci sono parole, bisogna vederli!

Gli effetti scenografici che mi hanno colpita di più, oltre all’imponente quadrisfera, sono delle stelline che illuminano i muri del corridoio d’ingresso e una scritta luminosa proiettata su una parete di una sala espositiva.

È attribuita a un Anonimo nel IX Sec. e ve la riporto testualmente: Sulla montagna ad occhi chiusi odoro il buio delle stelle ed i sinuosi spazi infiniti, ascolto l’energia che muove cielo e terra. Tutto è immobile e tutto si muove.

Con questa frase vi saluto e adesso siete autorizzati a teletrasportarvi sul sito del museo :o) 
 

6 settembre 1931 – 1° febbraio 1994

a7ede37630ddf654d4e05c6c0ea25275.jpg

Oggi è il 6 settembre, il compleanno di mio padre. Ma prima di fargli gli auguri mi soffermo a rileggere una cosa che ho scritto 13 anni fa, dedicata a lui e intitolata “1° Febbraio 1994″… 

È ancora buio. Apro le finestre dell’ufficio vuoto. È una mattina fredda e il cielo inizia un’alba limpida. Accendo video, tastiera e stampante. Solito rumorino. Solito sibilo nel silenzio. Ho ancora i piedi freddi. Poso la borsa, le chiavi del motorino e mi tolgo il giaccone. Con la mano pettino i capelli schiacciati dal casco. Tra un’ora entreranno i colleghi, inizierà la giornata, arriverà gente. Nella mia anticipata ora di straordinario, per poter uscire prima e catapultarmi a casa per la staffetta con mio marito, devo inserire i dati di alcune fatture, timbrare le bollette e forse se c’entra… Chissà se i bambini sono già svegli.

Squilla il telefono. È presto per le informazioni. Chi sarà? Una voce familiare. Una notizia. Lo stomaco improvvisamente fa male. Lungo il corpo una strana sensazione. Riattacco. Recupero la mia roba e corro giù per le scale. All’uscita due parole per giustificare la fuga. Mi viene da piangere. Corro via. Da Piazza Duomo a casa esattamente dieci minuti di motorino a tutta birra rispettando i semafori rossi solo per istinto di sopravvivenza. La strana sensazione non è passata. Il casco rischiaccia i capelli e copre le lacrime. Sotto casa tua chiudo il motorino e mi sforzo di non piangere. Salgo di corsa.

Sei a letto. La mamma e Stefano ti hanno aiutato a rialzarti. Eri caduto. Eri svenuto. Ti vedo sorridermi. Ti sei ripreso. Mi parli e non ti lamenti come del resto non hai mai fatto durante tutta la malattia. E la tensione si allenta perché siamo lì con te, io, la mamma e Stefano e parliamo, sdrammatizziamo.

Arriva Andrea. Impauriti io e lui ci guardiamo. Come hai lasciato i bambini? Tutto a posto, mi tranquillizza. Poi tutti insieme a scambiare qualche altra parola, l’ennesima, per convincerti, o convincerci, che ti riprenderai e che sei debole per quello che hai avuto. Qualche battuta forzata, una stretta di mano, un bacio per tirarti su.

Rimango qui stamattina. Ma no sto meglio, ritorna pure in ufficio, hai già così poche ferie. Ma ti vedo così dimagrito nella giacca a righe del pigiama, il volto scavato, la piazzetta sulla testa spettinata, il colorito giallo che nasconde il pallore. No, babbo, ormai non ci ritorno, voglio stare qui, non mi muovo.

Quasi le otto del mattino. C’è più luce fuori. Vedo il sole attraverso la tenda. Il vetro è un cristallo gelato. All’improvviso dici una cosa senza molto senso. Non ci capiamo. Non era mai successo. Mai nella mia vita ti ho sentito parlare a sproposito. Cerchi qualcosa vicino alla bottiglia dell’acqua, ma non riesci a dire cosa. Di nuovo una strana sensazione in tutto il corpo. Lo stomaco mi fa male di nuovo.

Non parli più. Chiudi gli occhi e respiri piano. L’ambulanza non arriva mai. Forse non si è illusa come noi aggrappandosi a un filo di speranza che svanisce, e giunge piano piano, senza fretta. La mia mano stringe la tua, calda e magra, ma ancora grande e sicura. Io e Andrea ci guardiamo. La mamma già piange. Stefano cammina nella stanza. Non rispondi. Il tuo respiro è lento e infrequente. La tua mano ancora nella mia, sempre calda.

Poi in un attimo apri gli occhi più del solito e fissi stupito un punto indefinito del soffitto. Ti parlo, ti chiedo cosa vedi. Non mi rispondi. Sento le lacrime annebbiarmi gli occhi. La mamma si siede accanto con gli occhi gonfi, increduli che sia già arrivato quel momento. Stefano piange alla finestra. Andrea è immobile, serio. I volontari dell’ambulanza con la giacca arancione sono fermi in un rispettoso silenzio e la dottoressa, dispiaciuta, ti visita inutilmente. Il tuo polso è troppo debole, i tuoi occhi di nuovo chiusi dopo quello sguardo stupito come verso un meraviglioso mistero. Lo stetoscopio sul tuo addome segnato dai bisturi non servirà.

L’orologio della nonna sul mobile continua il movimento del suo pendolo. Lui non si è fermato alle nove. Ho avvertito il tuo ultimo respiro mite. La tua mano di nuovo nella mia, sempre calda. Pianto. Silenzio. Solo il rumore della valigia del medico che si chiude.

Il tuo viso è sereno, quasi sorridi. Il tuo male assassino è morto, non può farti più niente e noi possiamo piangere di fronte a te senza preoccuparti. Ti sistemano nella stanza che era la mia, con la tappezzeria a fiori che desideravo da bambina. Ogni tanto ci abbracciamo fra noi intorno a te e ti guardiamo increduli. I miei figli, i tuoi tre nipotini che hai dovuto lasciare, non ci sono, sono troppo piccoli per essere qui adesso, ma si ricorderanno sempre di te.

Il calore e le belle parole della gente, tanta, si alterna al gelo del dolore nel cuore, crudele, e ci commuovono le lacrime della lattaia di fronte, gentile e grassoccia nel suo cappotto corto brizzolato. È venuta a restituirti un sorriso, uno dei tanti che tu hai distribuito a tutti. Sempre.

Strette di mano sincere, calde, e dalla finestra il sole rigido e secco di febbraio. Ti prendo di nuovo la mano, ormai fredda.

Da allora avverto il tuo calore in ogni cosa bella della vita.

Auguri lo stesso babbo.

Ah, mi raccomando, conserva come un fiore, come hai sempre fatto in vita, anche la mamma che dal 12 aprile 2002 ti ha raggiunto, ovunque tu sia, ovunque voi siate.

a930a3c11983cd31e6c370307e9784bb.jpgIo  vi immagino ancora così, giovani, belli e felici. Chissà se dalla vostra dimensione potete percepire i miei pensieri, le mie parole scritte… chissà.

A qualunque età, anche da adulti, quando muore il padre ci si sente smarriti, qualcosa dentro si rompe, ma quando muore la mamma lo smarrimento è tale da strapparti dentro e ti senti improvvisamente solo anche se sei adulto, già genitore, ormai già autonomo e anche se solo non sei.

Provi una sensazione difficile da spiegare… poi naturalmente la tua vita va avanti, sei un uomo o una donna, marito o moglie, padre o madre, e ti rassegni a quella legge di natura che nella maggior parte dei casi vede volar via prima i genitori e poi i figli, anche se talvolta in maniera un po’ prematura. Ma anche se la tua vita va avanti il ricordo resta e la nostalgia torna nei momenti di tristezza perché avresti bisogno di una carezza, di un consiglio, di un abbraccio sicuro, ma anche in quelli di gioia e soddisfazione perché vorresti condividerli e non puoi più farlo.

L’ornitorinco un pochino fa incazzare

Avete presente l’ornitorinco? Sicuramente sì, ma come promemoria può servire un’immagine dello strano animale.

 

74f444ba89730e28f93325f5e08e9b18.jpgPuò risultare certamente bizzarro, anche simpatico volendo, ma certamente non bello. Su di esso non è difficile andarsi a cercare notizie dettagliate, dunque eviterei di fare un trattato approfondito di zoologia. Farò solo dei cenni qua e là perchè il discorso porta necessariamente a farli.

In un periodo abbastanza creativo e curioso della mia vita, intorno al 1997, uscì un libro di Umberto Eco, Kant e l’ornitorinco. Lessi una recensione su una rivista e la cosa mi interessò molto… la filosofia, le scienze cognitive, l’ornitorinco che mette in crisi le teorie della conoscenza… Decisi di comprarlo per leggerlo, incurante del commento dello stesso autore sulla rivista. Eco avvertiva che il libro era prevalentemente per addetti ai lavori o per lettori con  profonde conoscenze filosofiche e semiotiche, però questa storia sull’ornitorinco mi attrasse e così feci un tentativo fidandomi troppo dei miei studi liceali di filosofia.

 

Devo dire che ho dovuto dare ragione ad Eco perchè il libro non riuscii a leggerlo tutto. Dopo alcune pagine mi arresi rendendomi conto di non capire ciò che leggevo. Allora presi a sfogliarlo in cerca di capitoli più comprensibili, e qualcosa qua e là risultò più alla mia portata. Solo qualcosa però, perchè in effetti il libro è decisamente difficile da capire interamente senza quelle famose conoscenze approfondite. Dopo aver appreso alcuni concetti qua e là, riposi poi il libro in un cassetto.

 

Ogni tanto mi ritorna in mente l’ornitorinco e ho cercato quel libro fra le mie cose. Ho ridato un’occhiata alle pagine allora incomprensibili e lo sono tuttora, e quei pochi frammenti di libro che ho capito mi interessano sempre.

 

Chissà se un giorno riuscirò a leggerlo tutto capendolo, dizionario alla mano, libri di filosofia a portata di consultazione e preventivo approfondimento sulla semiotica che il mio vocabolario definisce così: termine della logica contemporanea per indicare la teoria generale dei segni linguistici.

Troppo poco però per capire. In più, oltre ad Eco, ci si mette pure Kant, un osso duro già al liceo… J  

Comunque, bignamino alla mano, rispolverando Kant trovo che la sua filosofia è detta criticismo in quanto si contrappone al dogmatismo cioè all’accettazione passiva di idee o concezioni senza prima interrogarsi sulla loro effettiva consistenza e validità. E questa cosa mi piace, per forza mi piace, forse allora Kant l’avevo capito e non me n’ero accorta perchè anch’io penso questo… J Ma  non è tutto così semplice come sembra. Eh no, troppo facile!

 

Nella sua Critica della ragion pura si parla di analisi a priori prima dell’esperienza e giudizio sintetico a posteriori dopo l’esperienza… eh già… e poi di spazio e di tempo dove lo spazio è la forma del senso esterno col quale noi percepiamo le cose una accanto all’altra e il tempo è la forma del senso interno col quale noi avvertiamo i nostri stati d’animo uno dopo l’altro.

 

Non è poi così difficile… adesso un bel respiro… J… andiamo avanti.

 

Poi Immanuel si sbizzarisce con l’analitica trascendentale, prima parte della logica trascendentale, dove si prendono in esame i concetti puri del pensiero, le forme a priori con le quali si organizza il materiale conoscitivo già acquisito con la sensibilità e lo si unifica in categorie.

 

Poi, tanto per parlare del più e del meno, si passa alla dialettica trascendentale, seconda parte della logica, dove Kant analizza i processi di formazione delle idee  (anima – mondo – Dio) gulp!! da parte della ragione. In sintesi nella sua Critica della ragion pura si parla di limiti della ragione che non può spaziare al di là dell’esperienza sensibile.

 

Tutto questo nel 1781. Nel 1788 passa alla Critica della ragion pratica e affronta il problema morale affermando invece che la ragione stessa, con la volontà, deve condizionare il comportamento umano proprio perchè si pone al di fuori  e al di sopra dell’esperienza sensibile. L’uomo però non è solo razionalità ma anche sensibilità con desideri, passioni, appetiti ed occorre libertà di scelta fra soddisfare le inclinazioni sensibili o obbedire alla ragione. Questa libertà rende possibile la morale e non c’è moralità se non c’è libertà. L’uomo giunge alla virtù in quanto non si propone altri fini o premi per il suo comportamento se non la morale stessa, dunque la moralità è premio a se stessa.  L’uomo virtuoso si sente degno anche di felicità, ma purtroppo felicità e virtù non sempre sono congiunte nella nostra esperienza terrena. Per poterle pensare unite, l’uomo ha bisogno di una ragionevole speranza nell’immortalità dell’anima. Tombola!

 

Sempre seguendo il mio bignamino, arriviamo al 1790 con la Critica del giudizio che si occupa del sentimento che si instaura fra noi e gli oggetti che giudichiamo. Kant definisce il giudizio estetico e teleologico. Il giudizio estetico concerne il bello e si produce quando fra noi e l’oggetto che giudichiamo nasce un sentimento di armonia. All’analisi del bello segue quella del sublime. Contrariamente al bello che sorge dall’armonia tra soggetto e oggetto contemplato, il sublime scaturisce dalla percezione di una sproporzione straordinaria tra l’oggetto contemplato e le possibilità conoscitive del soggetto (per esempio quando guardiamo una montagna molto più alta di noi o assistiamo ad un uragano molto più forte di noi).

Il giudizio teleologico ci porta a credere in una finalità nel mondo della natura e sentiamo che deve esserci un principio, un autore intelligente, Dio, che governa il mondo della natura. E con questo abbiamo fatto un piccolo ripassino perchè c’è veramente da perdersi per una che l’ha studiato solo un po’ al liceo per di più…. 25 anni fa!! Help!!…..J

 

Ma lasciamo da parte momentaneamente la parte semiotica e filosofica, in attesa e nella speranza di colmare le lacune, e occupiamoci dell’animaletto in questione, l’ornitorinco.

 

L’introduzione del libro inizia con “Che cosa c’entra Kant con l’ornitorinco? Nulla“. Non male vero? J E prosegue: Di che cosa parla questo libro? Oltre che dell’ornitorinco, di gatti, cani, topi, cavalli, ma anche di sedie, piatti, alberi, montagne e altre cose che vediamo tutti i giorni, e delle ragioni per cui distinguiamo un elefante da un armadillo e per cui di solito non scambiamo nostra moglie per un cappello...” … Perfetto! Ce n’è abbastanza per incuriosirsi.

 

L’ornitorinco viene scoperto in Australia a fine Settecento e subito si pensa, nel 1799, quando ne viene esaminato un esemplare impagliato, ad uno scherzo perchè lo strano animale pare fatto con pezzi di altri animali. Quando si capisce che è un vero e proprio animale, la scoperta  mette in crisi la comunità dei naturalisti ed inizia una lunghissima discussione sull’ornitorinco. Quando la discussione inizia, Kant è già in fase di obnubilamento mentale e quando finalmente si decide che l’animale è un mammifero che depone uova, Kant è già morto da ottant’anni. Ecco perchè Kant non c’entra nulla con l’ornitorinco. Pensate, uno si obnubila e poi si perde l’ornitorinco! J

Nel libro Eco fa un esperimento e decide che cosa avrebbe fatto Kant di fronte all’ornitorinco, tanto per non farsi mancare nulla, e pare che l’incontro col paradossale animale avrebbe messo più in imbarazzo Aristotele piuttosto che Kant. E qui c’è davvero da incasinarsi di brutto, quindi forse è meglio riportare il discorso sul buffo animaletto.

Oddio, più che buffo direi che è spiazzante: un quadrupede con pelo e coda da castoro, ma con il becco liscio come un uccello, lingua rugosa al posto dei denti e zampe palmate e artigliate; nuota come un pesce ed è oviparo, ma viene a galla per respirare come le testuggini e come un mammifero allatta i piccoli con mammelle però prive di capezzoli ma dotate di ghiandole che secernono latte che viene assunto leccandolo, anche perché col becco non sarebbe possibile la suzione; i maschi sono dotati di speroni sulle zampe posteriori e di un pene con orifizio esterno dotato di diverse aperture in modo da fare una specie di doccia di seme, mentre le femmine hanno un ovidotto che non forma un utero ma una canale col triplice scopo riproduttivo, urinario e intestinale, come negli uccelli e nei rettili.

Fortunatamente non vola. Insomma, forse sarebbe stato davvero troppo! Sì perché l’ornitorinco, per quanto simpatico e singolare, effettivamente un pochino fa incazzare specie quando ti guarda… Ammetto che essere guardati da un ornitorinco non credo capiti spesso e a molti, ma nel caso capitasse, la persona osservata si accorgerebbe che la bestiola ha pure degli occhi che paiono quasi umani con uno sguardo che sembra prendere in giro. Secondo me se la ride sotto i baffi (che per fortuna non ha!!!) mentre tutti si domandano se è lui che è stato fatto con pezzi di animali oppure se sono tutti gli animali che sono stati fatti con pezzi suoi.

Alcuni aspetti della natura sono davvero affascinanti J

Made in Sicily

Nella confusione stropicciata della valigia al rientro dalle vacanze è preciso, netto e ancora fresco il bel ricordo dei giorni passati al mare nella mia Toscana. Stesso posto da 8 anni per motivi di amicizia, umanità e spensieratezza che rendono splendido anche un luogo semplice.

Quando la vacanza finisce e stai per partire per tornare a casa e vedi i tuoi figli che da piccoli sono ormai diventati maggiorenni e che formano un grande abbraccio collettivo, tipo mischia dei giocatori di rugby, insieme a tutto il gruppo di soliti amici provenienti da diverse parti d’Italia e li vedi ridere e piangere contemporaneamente per il divertimento condiviso in amicizia e spensieratezza e per il dispiacere del distacco per un intero anno, capisci che in quel posto semplice ci sono persone capaci di creare qualcosa di speciale e di raro.

4cd688a0a7bd5d6fc0e1967f073ea1f5.jpg

Vacanze ancora una volta allietate da un gruppo di artisti siciliani. Non riesco più a chiamarli solo animatori dopo averli visti all’opera in tutti questi anni perché non si limitano solo a far divertire e giocare i presenti, ma si esibiscono con bravura e simpatia in performances teatrali, danzanti, canore, e quest’anno anche poetiche e musicali.

8e3754056a2b8bf64032594e2e89f03f.jpgIl vulcanico calore della loro sicilianità si esprime con passione nella loro attività di animazione e infatti il loro motto è Animazione per passione. Sono i ragazzi dell’Equipe Mediterraneo  intercettabili in rete su www.equipemediterraneo.it, ma vi assicuro che l’incontro reale supera di gran lunga quello virtuale perché sono dotati non solo di simpatia e professionalità, ma anche di moltissima umanità. Ogni anno ci stupiscono con i loro travestimenti e le loro doti comiche (un esempio fra i tanti è la straordinaria capacità di improvvisazione comica sul semplice canovaccio della scenetta C’è un buco nel secchio di cui spesso ci regalano un bis), ma anche di interpretazione drammatica (per esempio le scene più intense e significative nel musical da loro interpretato quest’anno: Il Re Leone).

f8d18c5b923ca6da50009ec976a696ac.gifAncora un grazie di cuore al superlativo Max, il capo animatore nonché responsabile generale dell’Equipe Mediterraneo sempre presente ogni anno a dirigere con maestria il suo staff in trasferta toscana e che quest’anno, nella serata conclusiva dell’animatissima settimana di Ferragosto, ha recitato un pensiero, una riflessione poetica e commovente sull’appassionante ma faticoso mestiere dell’animatore definendolo un artista che lavora lontano dalla propria terra per molti giorni all’anno. In qualsiasi stato d’animo e talvolta anche di salute lo spettacolo deve continuare e il sorriso non può mai mancare sulle labbra anche se hai nostalgia di casa e dei tuoi cari. 

4e6d94f7c638cba367b97bbc1d3f4c0e.jpgConfermo che per gli artisti dell’Equipe Mediterraneo è proprio così e il grazie a Max, diventato ormai come un amico di famiglia dopo 8 anni, è naturalmente rivolto con affetto anche a tutti i componenti, ragazzi e ragazze che si prodigano ogni anno per far divertire e intrattenere gli ospiti di ogni fascia di età. Senza fare torto a nessuno dedico un piccolo spazio in particolare a Peppe che sfoggia con orgoglio questo bellissimo e geniale tatuaggio con codice a barre Made in Sicily!

1f0f28a8c0f893c33b0726397d7ef230.jpg

Grande Peppe! 

Come non accennare ad una nuova presenza di quest’anno. Un amico dell’Equipe, anch’egli proveniente dalla Sicilia con tanta voglia di fare. Bagnino, barista, ballerino e poi ho scoperto che è anche un bravissimo batterista. Si è esibito con una batteria improvvisata fatta di secchi e bidoni. Credevo che fosse uno scherzo improvvisato dall’Equipe e invece Massimo, in arte Max Malèn, è riuscito a regalarci un coinvolgente spettacolo di musica live ed è stato ricompensato con tantissimi applausi. E se con una batteria di fortuna è riuscito a fare tanto figuriamoci con una batteria vera!

Tutto il suo talento lo sintetizzo nell’attimo fuggente immortalato in questa foto. 

416dafc13b838f35045f592f8ba51f55.jpg

La qualità fotografica non è il top, ma è l’unica che ho e andando oltre l’apparenza e ingrandendo il dettaglio di un gesto si capisce con quanta passione quelle mani sono in grado di usare quelle bacchette.

fa7341126ad9ad7b710902f4a81e0b43.jpg

Max Malèn aspetta la grande occasione per poter esprimere al massimo il suo talento e per vedere riconosciuto l’impegno che mette in tutto ciò che fa. In Italia? Chi lo sa… In Europa? Forse. In USA? Quest’ultima destinazione sarebbe ai primi posti nelle sue aspirazioni e dunque gli auguro di poter realizzare questo suo sogno… buona fortuna Massimo!

A lui e agli artisti dell’Equipe ancora grazie, arrivederci al prossimo anno e… e naturalmente c’è un buco nel secchio Arturo Arturo! E tappa quel buco Eufemia Eufemia!

J

Maschera neutra

b81170b030c10f5b3e1744e8b81810f0.jpgUn volto bianco. Né uomo né donna. Né gioia né tristezza. Inespressivo. Neutro. Inquietante quanto affascinante. Uno sguardo vuoto e un respiro spento al di là dei fori. Infiniti occhi invisibili e aria assente… ma se un volto umano vi si appoggia l’infinito diventa uno sguardo vivo e l’aria un respiro presente.

Qualche mese fa, in occasione di un corso di public speaking, intitolato L’Arte della Presenza e svolto con metodologie teatrali, al quale ho assistito per lavoro, rimasi sorpresa dalle reazioni dei partecipanti che indossavano una maschera neutra durante alcuni esercizi per riflettere sulla comunicazione non verbale, sulla gestualità, sulla postura, sui movimenti del corpo. 

Sembravano improvvisamente altre persone, quasi altre entità senza una precisa identità. Cambiava il modo di camminare e loro stessi riferivano di aver provato sensazioni strane come la difficoltà a respirare, pesantezza dei propri passi, aumento del battito cardiaco, oppure un’improvvisa sicurezza… un’emozione mai provata, chi piacevole, chi invece di disagio… alcuni addirittura avvertivano tensione in alcune parti del corpo ed acceleravano il passo per finire più in fretta l’esercizio ed altri invece si scioglievano, e una ragazza, prima piuttosto rigida e frettolosa, improvvisamente assunse un’andatura simile a un’onda, che faceva pensare a una sinusoide morbida, lenta ed elegante…

In una pausa la curiosità mi fece prendere in mano quella maschera. La osservai a lungo… guardai le labbra chiuse, al di là degli occhi assenti, il naso come quello di una statua greca… e per la prima volta nella mia vita l’ho indossata davanti a uno specchio… 

La prima sensazione fu di calore al viso coperto da quello strato che nel mio caso era di plastica. La stessa sensazione fisica che si prova da piccoli quando si indossano buffe maschere di carnevale, più o meno… Poi però guardai lo specchio… ma chi era quella che vedevo? Cos’era? Certo, è logico, ero io, ma andando oltre l’evidenza avvertii dell’altro in quell’immagine. Una sensazione ovattata, un fascino inquietante che mi tenne per qualche minuto inchiodata davanti a quello specchio ad osservare i miei occhi che non sembravano più i miei in quello strano volto tutto bianco, i miei capelli che facevano da cornice a quel viso né triste né felice, né maschile né femminile. Neutro. Immobile. Sentivo più forte e rumoroso il respiro e anche il cuore aumentò il suo ritmo. 

Forse per ansia. L’immaginario timore di una perdita di identità, di certezze, di sicurezze. Il timore di un annullamento, di diventare nulla, un pupazzo inanimato… un immenso senso di prigionia e di solitudine.

O forse per emozione. L’immaginaria euforia di vedermi potenziale personaggio nuovo e di intravedere, al di là di quei fori e al di là dei miei occhi, una porta verso nuove vite. Non più il nulla o il solito, ma altro, tanto altro e altrove. Mille identità, mille luoghi e mille tempi… mille io, tu, lei, lui, noi, voi, loro… un immenso senso di libertà e condivisione.

Passai pochi minuti a fissarmi davanti a quello specchio… immobile come una bambola inanimata, ma ho avvertito il passare di una e mille vite, le opportunità, le scelte e… e dopo quella specie di incredibile viaggio togliermi la maschera e rivedere il mio viso riflesso nello specchio mi ha quasi stupita per un istante, come nel primo istante in cui mi sono vista con indosso quella maschera…