Amici nella nebbia

fc6325a3e975105c70346af9a59a3cfd.jpgSi fermò, davanti a me, e cominciò a fissarmi. I nostri cappotti erano dello stesso colore. Il mio un tempo era color cammello. L’avevo trovato alla discarica. Era macchiato solo in tre punti più scuri, ma la solitudine delle tre macchie non durò a lungo e il color cammello, sfrattato, se ne andò.

Il cappotto di quel passante che si era fermato ad osservarmi era più peloso e avvolgente, forse più caldo. Non ero mai stato invidioso, ma l’avrei voluto. Non era della mia misura e poi lui non aveva nemmeno una sciarpa a rete bucata come la mia intorno al collo. Non potevo privarlo anche del cappotto.

Sul capo aveva delle strane protuberanze spelacchiate. Tutta la testa era spelacchiata. Forse soffriva di una strana malattia. Probabilmente anch’io ero malato. Lo stomaco svelava la sua dolorosa presenza e l’equilibrio era spesso precario. Quella mattina poi l’umidità era filtrata attraverso  l’imbottitura ondulata del mio nuovo sacco a pelo fino a raggiungere le mie vecchie ossa. La notte precedente doveva essere caduta la solita pioggerellina clandestina degli ultimi giorni. Silenziosa, leggera, non per questo meno bagnata.

Il mio cappello bianco e nero, fitto di notizie, era fradicio. Le decorazioni del sacco a pelo, la scritta fragile, il disegno di un bicchiere ed altri simboli forse indiani, si erano scurite e inflaccidite insieme a tutto il resto.

Ero ancora disteso sulle sbarre dure della panchina del parco pubblico, lungo il fiume mimetizzato dalla nebbia. Il passante mi fissava con i suoi occhi marroni velati. Si era avvicinato a passi lenti, come stanco di un cammino notturno e solitario.

Già da tempi remoti non avevo più un orologio. Neanche lui l’aveva. Fermo, nel riposo di guardarmi, notai che era triste. Era più sfortunato di me. Non aveva le scarpe. La ghiaia era fredda quel mattino. Mi alzai seduto. Con le mie scarpe di maglioni non la sentivo tanto fredda. Solo il suo suono mi giunse gelido. Intanto il sole aveva reso più bianca la nebbia, ma nessun raggio l’aveva ancora dissolta. Si intravedevano, appannati e silenziosi, i fili stellati dell’abete accanto alla fontana. Ero sicuro che fosse da poco trascorsa l’alba. Mi svegliavo sempre alla stessa ora, non dell’orologio, ma del passerotto che, sulla panchina di fronte, saltellava in cerca di briciole di vita.

Il passante di quel mattino, l’unico dopo tanti risvegli che si era fermato accorgendosi di me, continuava a fissarmi. Per un attimo sospettai che volesse derubarmi e gli dissi di andarsene. Lui non rispose e restò fermo davanti a me abbassando leggermente il capo. Sicuramente era malato. Aveva uno strano naso nerastro e tremava. Forse era anche muto, magari sordo. Si avvicinò a passi incerti per guardarmi meglio. Anche la vista doveva averla debole. Ammirò la mia barba unta di giallo, lunga fino al secondo bottone del cappotto, quello che mancava. Poi fu attratto dai miei sacchetti di plastica sotto la panchina. Erano due. Non ricordavo neanche io cosa ci fosse dentro. In uno, ero certo, la bottiglia vuota. Di lei, dentro di me, era svanito ogni calore. Era rimasto in bocca soltanto il sapore della sera prima e il ricordo dello stordimento liberatorio.

Mentre assaporavo la mia lingua impastata fra i denti gialli, lo stomaco mi ricordò la battaglia del nuovo giorno. Il passante, attratto dalla mia solitudine e convinto che ormai non lo avrei più mandato via, si accomodò accanto a me sulla panchina. Così vicini, mentre i nostri aliti si mescolavano nel vapore della nebbia, ci rendemmo conto di emanare un odore simile. Chissà, forse fra noi poteva nascere un’intesa.

I nostri sguardi erano intensi, complici di comuni destini e più espliciti del dialogo assente. Mi guardò mentre rovistavo frenetico nei sacchetti. Lo guardai mentre tremava ansioso alla vista dello straccio di lana che usavo per strofinarmi il viso al mattino.

Quella mattina non lo feci. Pensai che il suo cappotto, nonostante le apparenze, non fosse di buona qualità, e così mi venne spontaneo avvolgerlo con quella pezza sfilacciata. Mentre, con lo spago, fermavo intorno a lui il nuovo strato caldo, mi complimentai col mio istinto. Aveva smesso di tremare e mi fissava con riconoscenza. Mi ringraziò con un complimento umido.

Fu così che nacque la nostra grande amicizia. Quel giorno stesso notai che aveva una coda dello stesso colore del cappotto. La fece ondeggiare più volte durante il nostro primo pasto insieme. Avevamo scoperto un luogo di lusso: il deposito grigio sul retro di un ristorante dove vedevamo entrare passanti con cappotti bellissimi e puliti. Noi riuscimmo a ripulire la nostra razione e a far provviste appena in tempo. Trovammo anche brandelli di bistecca aggrappati ad un osso e un pezzo di dolce, proprio come nei giorni di festa. Poco dopo passò un grosso camion con i lampeggianti accesi, luminosi come i fili stellati che quel giorno si vedevano dappertutto. Svuotò il deposito e sparì.

Tornammo verso la nostra panchina nel parco. La nebbia non si era diradata e il mio compagno, per non perdermi, seguì i miei passi striscianti. Con ancora nel naso l’odore del deposito, mi riposai sulla panchina e da alcune bottiglie quasi vuote e odoranti di forte ingoiai residui di calore. Sull’abete mi parve di notare qualche pallina colorata. Nel periodo dei fili stellati nascono sempre quelle strane bacche. Però tutte le volte c’è qualcuno che le ruba perché poco dopo la fioritura scompaiono.

Lui era sempre lì davanti a me e si riscaldava muovendo velocemente la coda. Mi osservava molto interessato, incuriosito. Sembrava che volesse chiedermi qualcosa. Forse voleva sapere il mio nome.

Non lo ricordavo. Io lo chiamai Amico.

Gli parlo spesso. Lui non mi parla mai. Qualche volta ripete “bù!”. Penso che quello sia il mio nome, quello che lui mi ha dato.

 

Questo mio racconto intitolato Amici nella nebbia risale ormai a una decina di anni fa… il tempo vola… ed è stato pubblicato all’interno della terza edizione del Quaderno di Natale (Biblioteca del periodico «Presenza», Striano – NA, 1997).

Ho ricevuto una segnalazione che indico qua con piacere. Si tratta di un video relativo a un’iniziativa in tema con questo mio vecchio raccontino. Per vederlo e per avere informazioni in merito basta cliccare su La Linea Gialla.

Amici nella nebbiaultima modifica: 2007-12-18T00:34:00+01:00da riccarda63
Reposta per primo quest’articolo

Un pensiero su “Amici nella nebbia

Lascia un commento